I sindacati e le associazioni Sib-Confcommercio e Fiba-Confesercenti hanno proclamato uno sciopero, definito “ad oltranza” degli stabilimenti balneari in protesta contro l’attuazione della direttiva Bolkestein, che impone che i lidi siano messi a bando di gara. Secondo la denuncia dei bagnini, questa misura estrometterà gli storici gestori e le famiglie per fare spazio a stabilimenti balneari gestiti da grandi imprese e multinazionali. L’obiettivo della protesta sono direttamente il governo e la premier, Giorgia Meloni, accusati di non aver mosso un dito in difesa della categoria dopo anni di dichiarazioni contrarie alle liberalizzazioni chieste da Bruxelles. I bagnini organizzeranno diverse giornate di protesta, con un numero sempre maggiore di ore di chiusura, finché non riceveranno risposte dal governo riguardo alcuni temi legati al rinnovo delle concessioni. Il primo sciopero, poco più che simbolico, sarà di due ore il 9 agosto (dalle 8 alle 10 di mattina). Se non arriveranno risposte dal governo, gli ombrelloni resteranno chiusi anche il 19 agosto per quattro ore (dalle 7.30 alle 11.30) e il 29 agosto per otto ore (dalle 7.30 alle 15.30).
Si tratta di un campo di battaglia certamente non estraneo sia agli imprenditori italiani che ai lettori de L’Indipendente, visto che già da anni è stato trattato il tema spiegando che la direttiva Bolkestein ruota intorno al tema della liberalizzazione delle concessioni balneari, obbligando dunque gli Stati a indire nuovi bandi pubblici per le loro assegnazioni e rischiando una massiccia privatizzazione a favore di grandi imprenditori e multinazionali contro i quali gli attuali gestori – spesso famiglie che hanno investito i propri risparmi per avviare e condurre le attività – avrebbero ben poche possibilità di concorrere nelle gare di appalto. La multinazionale Red Bull, per esempio, due anni fa ha rilevato circa 120.000 metri quadrati di litorale nel golfo di Trieste in cambio di 9 milioni di euro, con l’obiettivo di trasformare l’Isola dei Bagni nel nuovo regno della vela brandizzato Red Bull. La paura, quindi, è che vicende simili possano ripetersi in altri stabilimenti italiani visto che le Regioni, i Comuni e le Autorità portuali stanno già avviando i bandi in tutta Italia.
Per questo, associazioni e sindacati hanno deciso di proclamare uno sciopero per esprimere il disappunto rispetto alle promesse non mantenute del governo Meloni e per cercare un contatto con le istituzioni. Non sarebbero serviti a nulla interventi veementi, mappature delle coste e impegni promessi dai politici in quanto da allora non sarebbe stato effettuato nessun provvedimento a difesa dei piccoli imprenditori locali. Il mancato intervento del governo ha consentito ad ogni ente di stabilire le regole di appalto in autonomia, con conseguenti disparità di trattamento tra una località e l’altra e, anche per questo motivo, i balneari hanno deciso di promuovere «un’iniziativa doverosa di fronte a una irresponsabile e sconcertante fuga dalle proprie responsabilità della politica e segnatamente del governo». Inoltre, lo sciopero degli ombrelloni chiede il riconoscimento di un indennizzo economico a favore dei concessionari uscenti a carico dei subentranti in quanto, seppure le concessioni siano sul demanio pubblico, le imprese hanno un valore aziendale e di avviamento che i titolari pretendono di vedersi riconosciuto.
«Governo e parlamento non hanno emanato alcun provvedimento legislativo chiarificatore che salvaguardi la balneazione attrezzata italiana, tutelando il nostro lavoro e le nostre aziende. Sono rimasti inascoltati tutti gli appelli provenienti non solo da noi, ma anche da Comuni e Regioni di ogni orientamento politico. La messa a gara delle nostre aziende non è una eventualità ma una realtà: lo hanno già fatto decine di Comuni senza direttive legislative e con modalità diverse, perlopiù in assenza di alcuna tutela dei concessionari attualmente operanti», ha dichiarato Antonio Capacchione, presidente del Sindacato italiano balneari, mentre Maurizio Rustignoli, presidente nazionale di Fiba-Confesercenti, precisa: «È doveroso dare un segnale, e noi lo diamo in senso propositivo. La nostra azione non è un attacco, ma un appello affinché il governo intervenga per evitare lo stato di confusione che si sta generando nel comparto balneare italiano e, ancora di più, nelle famiglie e nelle imprese che hanno investito e creduto in un regime legislativo che riconosceva dei diritti che oggi non ci sono più».
[di Roberto Demaio]
Triste e’che per anni i gestori degli stabilimenti hanno avuto in concessione km di spiagge a due lire, adesso arriveranno i pesci grandi e mangeranno i pesci piccoli, vedi in Friuli con la Ref Bull.
L’Italia e’ all’asta da parecchi anni; Il periodo pandemico e’ servito al governo Draghi per terminare il lavoro di totale privatizzazione del patrimonio pubblico, come già fatto in Grecia.
Da lavoratore in proprio spezzo la proverbiale lancia in favore di chi ha fatto anni di sacrifici e investimenti e ora si vede “scippato” di tutto, senza nemmeno un minimo riconoscimento per le strutture costruite sulla spiaggia (se non ho capito male), e per di più in favore dei soliti sciacalli.
Forse sarebbe il caso di linkare alla notizia (di ieri?) riguardo al reddito medio dichiarato dalla categoria dei balneari: 26000€.
Così che forse il quadro è completo. Azienda a gestione familiare non vuol dire santità.
https://www.corriere.it/economia/aziende/24_agosto_04/balneari-capacchione-ventiseimila-euro-per-attivita-pochi-io-ne-ho-dichiarati-250-mila-5761a8c2-bcf1-4d3c-b1f3-cca23ee2exlk.shtml
La migliore soluzione sarebbe liberare tutte le spiagge dai concessionari e renderle libere all’accesso dei cittadini.
Assolutamente vero, bello e impossibile. Purtroppo.
“estrometterà gli storici gestori e le famiglie ”
Stiamo già piangendo per loro…