Dopo l’uccisone di Ismail Haniye, capo politico di Hamas, la tensione in Medio Oriente pare crescere ogni giorno che passa. In seguito al duplice bombardamento di mercoledì 31 luglio, Libano e Tel Aviv stanno alzando sempre più la posta in gioco, con attacchi via via più mirati e frequenti. Vista la situazione, per paura di un allargamento del conflitto, i governi di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, e Italia hanno invitato i propri cittadini a lasciare il Paese il prima possibile. Nel mentre, il Ministro degli Esteri della Giordania, Ayman Safadi, ha visitato l’Iran per congratularsi con il neo-eletto Presidente Masoud Pezeshkian, finendo a parlare anche della situazione con Israele: l’uccisione di Haniye in territorio iraniano «è stata un grande errore, e non sarà impunita», ha ribadito Pezeshkian in occasione dell’incontro. Tra chi pensa che l’Iran attaccherà Israele per mezzo dei sempre più coinvolti Hezbollah, e chi ritiene che Teheran riserverà a Tel Aviv un attacco diretto, gli annunci rilasciati dalle autorità persiane pendono ormai come una spada di Damocle sulla testa di Israele, e aspettano solo di venire formalizzati.
Negli ultimi giorni, la possibilità di escalation in Medioriente pare più concreta che mai. Tra Beirut e Tel Aviv gli attacchi sono sempre più frequenti: il sistema di difesa israeliano si è attivato molte volte nella notte tra sabato e domenica, dopo il lancio di circa 60 missili da parte di Hezbollah nel nord del Paese, mentre giusto questa notte il Libano ha scagliato un’offensiva nell’area settentrionale di Israele, ferendo due soldati delle Forze di Difesa Israeliane. In generale solo tra ieri e oggi, Hezbollah ha lanciato nove diversi attacchi verso strutture militari, edifici di stoccaggio dell’equipaggiamento, e una delle nuove colonie israeliane nella Cisgiordania occupata. Israele, nel frattempo, ha risposto agli attacchi, bersagliando capi militari locali, edifici militari, e infrastrutture civili, come nel caso della città di Beit Lif, nel sud del Libano, su cui nel primo pomeriggio di ieri è stata lanciata un’offensiva con drone. A fronte della sempre più crescente tensione, diversi governi occidentali hanno intimato i propri cittadini presenti sul territorio a lasciare il Paese, «senza guardare» data e prezzo dei biglietti. Tutti questi attacchi, infatti, parrebbero configurarsi solo come primi segnali di un allargamento del conflitto di ben maggiore intensità: Tel Aviv continua a dirsi pronta a combattere su due fronti, mentre secondo indiscrezioni provenienti dall’intelligence israeliana, Hezbollah starebbe preparando un’offensiva di più larga scala da lanciare in tempi stretti.
Eppure, nonostante la crescente tensione tra Libano e Israele, a fare più paura è l’eventuale reazione dell’Iran. A far scattare questo repentino aumento delle possibilità di escalation è stato infatti il duplice attacco mirato lanciato tra martedì 30 e mercoledì 31 luglio, in cui Israele ha ucciso uno dei vertici militari di Hezbollah, e il capo politico di Hamas Ismail Haniye. Quest’ultimo è stato ucciso proprio in Iran, durante una visita diplomatica in occasione della cerimonia di insediamento del nuovo Presidente iraniano Masoud Pezeshkian. Secondo molti analisti, la natura stessa dell’uccisione, arrivata non solo a Teheran, ma addirittura in occasione di una cerimonia ufficiale, costringerebbe l’Iran a rispondere per via diretta. Ancora non è tuttavia dato sapere – se dovesse avvenire – come, dove, quando, e in che misura questo eventuale attacco arriverà. L’Iran però continua a lanciare minacce di rappresaglia, e la risposta sembrerebbe farsi sempre più vicina. Addirittura, secondo quanto comunica il sito di informazione Axios, il Segretario di Stato USA Atony Blinken avrebbe espresso il timore che Iran e Libano possano portare avanti una grossa offensiva oggi stesso. Per tale motivo, gli Stati Uniti si sono mossi per fornire ulteriori equipaggiamenti militari a Tel Aviv, mentre nel frattempo il capo del CENTCOM, il Comando Centrale degli Stati Uniti, responsabile di Medio Oriente e dell’Asia, è arrivato in Israele in preparazione al probabile attacco di rappresaglia dell’Iran. Anche la stessa Teheran pare essersi mossa per radunare alleati e sostegno diplomatico: oltre ai già coinvolti Hezbollah, infatti, anche gli Houthi sono tornati all’attacco, assaltando le navi sul Mar Rosso, mentre Pezeshkian ha lanciato un appello ai Paesi arabi perché condannino i «crimini» israeliani, sottolineando che «l’arroganza dei sionisti non rimarrà senza risposta».
Mentre i riflettori puntano tutti su Teheran, a venire adombrata è la catastrofe umanitaria in atto in Palestina. Giusto ieri, l’esercito israeliano ha lanciato un duplice bombardamento su due diversi istituti scolastici presso Gaza City, uccidendo almeno 30 persone. Sempre a Gaza City, le IDF hanno condotto un bombardamento contro una tendopoli all’interno di un ospedale, uccidendo 44 persone. L’esercito israeliano ha inoltre rilasciato ulteriori ordini di evacuazione nelle zone meridionali della Striscia, nello specifico nell’area sud di Khan Younis e in quella settentrionale di Rafah. Raid e arresti continuano anche in Cisgiordania, dove la situazione si fa sempre più precaria. Dall’escalation del 7 ottobre, solo nella Striscia di Gaza, Israele ha ucciso 39.583 persone, e ne ha ferite altre 91.398. In Cisgiordania, invece, il bilancio degli uccisi è di diverse centinaia, mentre quello degli arresti sfiora le 10.000 persone, e arriva per ora a 9.955.
[di Dario Lucisano]
Finché c’è un sionista al Ministero degli Esteri, a cui la parola mediazione è sconosciuta, sarà difficile trovare la via della pace. Gli Europei latitano, tutt’alpiu’ si gettano nella Senna o discutono del sesso degli atleti. Chi vivrà vedrà.
L’unica reazione corretta per l’Iran è di aumentare quanto più possibile la fornitura di armi alla Russia per la guerra in Ukraina e chiedere in cambio uranio per costruire bombe nucleari e missili ipersonici in grado di arrivare ovunque in Medio Oriente.