In seguito all’ondata di manifestazioni anti-governative represse nel sangue dalla polizia negli ultimi giorni, la premier del Bangladesh, Sheikh Hasina, ieri si è dimessa ed è scappata dal Paese. Nelle stesse ore, folle di manifestanti hanno fatto irruzione all’interno della residenza presidenziale, saccheggiandola. Poco prima della fuga del primo ministro, che si trova ora in India, il capo di stato maggiore dell’esercito, il generale Waker-Uz-Zaman, aveva annunciato le sue dimissioni in un discorso televisivo alla nazione, spiegando che verrà formato un governo ad interim. Il generale ha affermato di aver incontrato i leader delle principali forze politiche, ad esclusione della Lega Awami di Hasina, e che presto incontrerà il presidente Mohammed Shahabuddin per discutere la strada da seguire. L’India ha sospeso tutti i voli e i treni da e per il Bangladesh, per il timore che i disordini aumentino.
Le proteste sono iniziate a giugno, quando l’Alta Corte del Bangladesh ha ripristinato un sistema di quote per gli impieghi governativi, stabilendo, nello specifico, che il 30% dei posti di lavoro nel pubblico debba spettare ai familiari dei reduci di guerra. Gli studenti e altri gruppi sociali hanno percepito questa mossa come una discriminazione a favore dei sostenitori del partito al governo, l’Awami League, guidato da Sheikh Hasina, cominciando a scendere in piazza. Partite in maniera pacifica, le proteste si sono intensificate da metà luglio a causa della violenta repressione da parte delle forze dell’ordine, spesso con l’uso di armi letali – tra cui fucili da caccia calibro 12 caricati con pallini, lanciagranate da 37/38 mm, fucili d’assalto modello AK e fucili d’assalto cinesi tipo 56-1 – e l’impiego di un’eccessiva forza. Sono andati in scena violenti scontri tra manifestanti, forze di sicurezza e membri della Bangladesh Chhatra League, organizzazione giovanile affiliata al partito al potere. Il governo ha risposto con misure drastiche, tra cui un blackout delle comunicazioni, coprifuoco e arresti di massa. Nello specifico, le proteste sono iniziate con maggiore intensità nella capitale Dacca, ma hanno coinvolto sin da subito tutte le maggiori città universitarie del Paese. Dal 16 luglio, a causa degli scontri sono morte oltre 300 persone, mentre almeno altre 400 sono rimaste ferite e 10mila sono state arrestate dalle forze dell’ordine. L’esercito ha nel frattempo deciso di revocare il coprifuoco stabilito da Hasina, riaprendo da domani le strutture scolastiche e quelle universitarie. Il presidente Shahabuddin ha fatto inoltre scarcerare l’ex prima ministra e leader dell’opposizione Khaleda Zia, nonché le persone arrestate a causa delle proteste.
Figlia del primo presidente del Bangladesh, Sheikh Mujibur Rahman, l’ex premier 76enne Sheikh Hasina era ininterrottamente al potere da 15 anni nel suo Paese, che ha complessivamente governato per 20 anni. Pur essendogli stato riconosciuto un significativo impegno per la spinta alla sua crescita – il Bangladesh è una delle economie in più rapida ascesa nella regione –, per l’efficace gestione di molte crisi e per l’avvio di enormi progetti infrastrutturali, sull’esecutivo Hasina gravano molte ombre, in particolare per il suo approccio autoritario, per una costante repressione delle libertà civili e politiche e per la corruzione e il nepotismo che ne avrebbe caratterizzato il corso. Il governo è stato costantemente accusato di utilizzare le forze di sicurezza e la magistratura per reprimere il dissenso, nonché di brogli elettorali; anche la situazione della libertà di stampa, negli anni del governo Hasina, è stata molto critica, con giornalisti e critici che sono stati colpiti da intimidazioni e arresti. Critiche e denunce a livello nazionale e internazionale sono state indirizzate alle forze di sicurezza che hanno operato sotto il governo, tra cui il Rapid Action Battalion (RAB), con l’accusa di esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate e torture.
[di Stefano Baudino]