giovedì 21 Novembre 2024

Riforma dell’istruzione: il governo mette gli istituti tecnici al servizio del mercato

La riforma dell’istruzione tecnico-professionale è ufficialmente legge dello Stato. La scorsa settimana, la Camera dei Deputati ha infatti approvato con 127 voti a favore, 97 contrari e 19 astenuti il provvedimento promosso dal ministro Valditara, che si propone di formare in maniera organica gli alunni alle professioni richieste dal tessuto economico locale e di inserire nel corpo docenti profili che provengono dall’universo del lavoro e dell’impresa. Il cuore della riforma è il modello “4+2”, che prevede un ciclo di studi di quattro anni per ottenere un diploma con lo stesso valore legale del quinquennale tradizionale, seguito da due anni di specializzazione presso gli ITS Academy o altre istituzioni di formazione superiore non accademica. La riforma ha suscitato molte critiche da parte delle forze di opposizione e di numerose associazioni e sigle sindacali, che la ritengono l’ultimo tassello della deriva della scuola italiana verso la subalternità alle imprese e a un’eccessiva dipendenza da finanziamenti privati.

Il provvedimento prevede, nello specifico, che gli studenti abbiano la possibilità di completare il ciclo di studi superiori in quattro anni, al posto dei 5 tradizionali, potendo ottenere alla fine del percorso un diploma dall’equivalente valore legale. Vengono inoltre resi più solidi i collegamenti tra l’universo scolastico e il mondo dell’impresa attraverso l’inserimento di insegnanti provenienti dal settore industriale e l’aumento del monte orario specificamente dedicato all’alternanza scuola-lavoro e all’apprendistato. Si istituiscono inoltre i “campus”, network che collegano l’offerta didattica degli Istituti tecnici e professionali, degli ITS Academy e dei centri di formazione professionale. Sulla carta – come peraltro si denota dalla particolare attenzione riservata alle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) e alle lingue – il fine è quello di allineare il percorso scolastico dei giovani alle esigenze del mercato, ma nella pratica sono in molti a vedere un vero e proprio “appalto” di un pezzo di mondo scolastico alle imprese. Con l’ok alla riforma è stato formalmente dato il via libera a veri e propri contratti con «soggetti del sistema delle imprese e delle professioni» chiamati a svolgere attività «di insegnamento e di formazione nonché di addestramento nell’ambito delle attività laboratoriali e del Pcto», come viene ora chiamata l’alternanza scuola-lavoro. Prima del voto in Aula, proprio la parola «addestramento» aveva scatenato l’ira delle opposizioni, che hanno protestato contro il governo. È importante ricordare come la sperimentazione della nuova istruzione tecnico-professionale sia già avviata, ma con numeri estremamente ridotti: nell’anno scolastico 2023-2024, infatti, su circa 3mila istituti tecnici e professionali hanno aderito al nuovo sistema soltanto 171 scuole. E a scegliere i nuovi istituti sperimentali tecnici professionali sono stati solo 1669 studenti.

Il progressivo allineamento della scuola pubblica agli schemi più classici della privatizzazione è in corso ormai da decenni. Se negli anni Novanta leggi di governi di destra e sinistra spinsero il mondo scolastico e accademico verso l’autonomia statutaria e l’approdo al numero programmato nelle facoltà, con la riforma Moratti del 2003 fu introdotta per la prima volta la cosiddetta alternanza scuola – lavoro, con il parallelo incremento delle ore da dedicare alle materie ritenute indispensabili per accedere all’ambito professionale, designate con l’espressione “tre i”: inglese, informatica e impresa. La stessa ottica venne seguita dalla riforma Gelmini del 2010, con cui si mise peraltro mano a un drastico taglio ai finanziamenti di tutto il comparto dell’istruzione pubblica. In ultimo, con la riforma denominata “Buona Scuola” del 2015, voluta dall’allora premier Matteo Renzi, si è verificato il consolidamento dell’alternanza scuola–lavoro, stabilendo che le scuole superiori debbano sacrificare centinaia di ore di apprendimento di quello che ormai viene considerato il “sapere inutile” – matematica, latino, filosofia e così via -, lasciando spazio a esperienze lavorative. È stata inoltre potenziata l’autonomia scolastica, che ha portato gli istituti a fare a gara per “accaparrarsi” fondi privati, creando di fatto, secondo i critici, scuole di serie A e di serie B. In ultimo, nel 2022 è stata inserita all’interno del PNRR è stata inserita una riforma che trova il suo perno nell’introduzione dei nuovi Licei TED (Transizione Ecologica e Digitale), che costituiranno il primo esempio italiano di superamento della scuola pubblica come la conosciamo. Programmi e funzionamento si avvalgono infatti “della rete di grandi gruppi e imprese che aderiscono al Consorzio di aziende CONSEL“, fra cui Microsoft, Eni, Atlantia, Huawei, BNL, Enel, Generali, IBM, Leonardo, Cisco, Nokia, Oracle, Sky, Vodafone e Snam.

[di Stefano Baudino]

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5 Commenti

  1. Quello che colpisce anche dai commenti è la noncuranza con cui si ritiene la formazione culturale praticamente inutile . In effetti sono proprio certe materie obsolete a creare una formazione critica , che evidentemente non è più funzionale alla narrazione preconfezionata della realtà che deve essere monolitica e per questo controllabile. Per il resto sembra che lo stato non faccia altro che demandare a terzi quelli che dovrebbero essere tutti i suoi compiti precipui. Felice di essere cresciuta in un altro mondo .

  2. Gli Istituti Tecnici “servono” ad insegnare ai frequentatori l’ arte del fare ovverosia delle manualità indispensabili per tirare su un muro, fabbricare una sedia o un tavolo, collegare dei fili elettrici, saldare delle tubature, alternare le colture nei campi, condurre un trattore o un montacarichi etc., etc. Possibilmente nel modo più corretto ed avanzato. Tutto il resto è stupida ed inutile ideologia.

  3. Ero a scuola negli anni 80. Effettivamente quando è cambiato il nostro professore di Ragioneria ed è venuto a insegnare un professore che aveva lo studio ed era un libero professionista la materia l’abbiamo capita molto meglio. Ma allora c’era una MORALITA’ quel professore non si sarebbe mai sognato di far lavorare gratis uno studente nel suo studio per fargli capire meglio la materia. Oggi questa moralità NON c’è l’abbiamo già abbondantemente visto, il rischio (forse certezza) è che le imprese con la scusa di “insegnare” ai ragazzi sfruttino questi ultimi a livello lavorativo edulcorando con parole tipo “Stage”, “Professionalizzazione”, “inserimento nel mondo del lavoro”

  4. Ero a scuola negli anni 80. Effettivamente quando è cambiato il nostro professore di Ragioneria ed è venuto a insegnare un professore che aveva lo studio ed era un libero professionista la materia l’abbiamo capita molto meglio. Ma allora c’era una MORALITA’ quel professore non si sarebbe mai sognato di far lavorare gratis uno studente nel suo studio per fargli capire meglio la materia. Oggi questa moralità NON c’è l’abbiamo già abbondantemente visto, il rischio (forse certezza) è che le imprese con la scusa di “insegnare” ai ragazzi sfruttino questi ultimi a livello lavorativo edulcorando con parole tipo “Stage”, “Professionalizzazione”, “inserimento nel mondo del lavoro”

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