La Presidenza del Consiglio dovrà rispondere per la prima volta nelle aule di giustizia delle impattanti conseguenze del “cambio di passo” nelle politiche sul bonus edilizio 110%. A chiamare in causa Palazzo Chigi è stata un’impresa appaltatrice che, dopo la riforma voluta dall’esecutivo Meloni, ha visto bloccarsi la cessione dei crediti. Ad essa si sono unite, in una class action, altre 250 aziende del settore attraverso l’associazione Class Action Nazionale dell’Edilizia. Il giudice ha accolto alcune importanti argomentazioni difensive avanzate dal legale di CANDE, tra cui quella secondo cui l’impresa appaltatrice può essere tutelata anche dal legislatore italiano. Nello specifico, la Presidenza del Consiglio è stata convocata nella veste di “terzo” dal Giudice della 1° Sezione Civile nella cornice della causa tra l’impresa appaltatrice e il proprio committente. Il Tribunale di Vicenza ha fissato l’udienza al prossimo 5 novembre.
«È la prima volta che la Presidenza del Consiglio viene citata in causa e viene chiamata a rispondere del danno all’impresa appaltatrice che si è vista bloccare la cessione dei crediti, e che è finita in causa con il committente, col fine di tenere indenne il nostro assistito, per il caso di soccombenza ed eventualmente a pagare il risarcimento», ha dichiarato Roberto Cervellini, DG di CANDE. Secondo l’associazione, è evidente che «le ripetute modifiche alla norma originale del Superbonus meglio rappresentata nel meccanismo della cessione del credito artt. 121 e 122 del DL34/2020 già Legge 77/2020, sono da intendersi risolti per le subentrate variazioni contrattuali che hanno impedito alle parti in causa, in questo caso e in tantissimi altri, di poter proseguire i lavori così come concordati». Per questo motivo, ha aggiunto CANDE, «il Governo, responsabile di questa confusione e dei blocchi derivanti, dovrà garantire il pagamento di crediti, prima concessi, e poi alienati, con un meccanismo che ha messo in ginocchio molte aziende operative nel settore». Come ha spiegato Cervellini, la lite è stata allargata ai danni della Presidenza del Consiglio, essendo stato citato lo specifico articolo del codice di procedura civile che «ammette la chiamata in causa di un terzo non solo perché la lite gli è comune, ma anche affinché il terzo garantisca chi lo ha chiamato, ovvero paghi al suo posto in caso di condanna».
A differenza di quanto annunciato nella campagna elettorale in vista delle ultime Politiche, in cui – seppur contestandone gli aspetti ritenuti più controversi – aveva promesso di sbloccare i crediti e mantenere viva la misura, il governo guidato da Giorgia Meloni ha attuato una serie di interventi per smantellare progressivamente il Superbonus, che era stato introdotto dal governo Conte II per incentivare la riqualificazione energetica e sismica degli edifici offrendo una detrazione fiscale fino al 110% delle spese sostenute. Uno dei primi interventi del governo Meloni è stato la riduzione della percentuale di detrazione dal 110% al 90%, introdotta dalla Legge di Bilancio 2023. Successivamente sono stati imposti nuovi requisiti, tra cui il tetto massimo di reddito per i beneficiari. Una delle azioni più impattanti è stata poi la sospensione della possibilità di cedere il credito d’imposta derivante dal Superbonus a terzi, inclusi banche e altri intermediari finanziari, il che ha reso molto più complesso per le imprese e per i privati finanziare i lavori.
[di Stefano Baudino]