martedì 5 Novembre 2024

Acqua pubblica, anche Napoli verso il tradimento del referendum del 2011

Nel 2011 i cittadini italiani espressero, tramite referendum, la chiara volontà di gestire l’acqua come bene comune e non come merce su cui generare profitto. Negli anni il referendum è stato ampiamente tradito, con le amministrazioni locali che hanno preferito continuare lungo la strada della gestione privata scevra di controlli popolari. Al 2024 Napoli è l’unica grande città italiana a rispettare l’esito referendario, grazie all’ex sindaco Luigi De Magistris che fondò la società municipale Acqua Bene Comune Napoli (ABC Napoli) per gestire le risorse idriche del capoluogo campano seguendo la volontà popolare. Un’anomalia che sta per finire, con la delibera n. 226/2024 della giunta Manfredi che rischia di cancellare l’esperienza e allineare il capoluogo campano al quadro generale della penisola. La decisione, che attende l’approvazione del Consiglio comunale, modifica infatti lo statuto dell’azienda di diritto pubblico Acqua Bene Comune Napoli, colpendo il controllo dal basso e preparandola alla trasformazione in una società per azioni, annullando anni di lotte e conquiste sociali.

Con la scelta dell’amministrazione Manfredi viene messa a rischio la parentesi iniziata nel 2011 dall’allora sindaco Luigi De Magistris, la cui maggioranza in Consiglio comunale rese Napoli “la prima città italiana a dare seguito alla volontà del referendum di giugno, trasformando l’Azienda Risorse Idriche Napoli (ARIN) in azienda speciale”. Il processo si concluse nel 2013, quando l’ARIN, una società per azioni, si trasformò in Acqua Bene Comune Napoli (ABC Napoli), un’azienda speciale che ha restituito ai napoletani la gestione pubblica dell’acqua. Nell’ABC Napoli vengono garantite forme di controllo dal basso e partecipazione della cittadinanza attiva: si pensi, ad esempio, alla presenza nel consiglio di amministrazione di due membri designati dalle associazioni ambientaliste. A ciò si aggiunge  il potere di elaborare atti vincolanti per la governance dell’azienda da parte dell’osservatorio sull’acqua, un organo composto da istituzioni e cittadini. Ancora, l’obbligo di redigere un bilancio particolarmente attento alla sostenibilità ambientale così da tutelare la risorsa idrica, in un Paese sempre più colpito dalla siccità. Tutti questi punti sono stati eliminati dal colpo di coda estivo dell’amministrazione targata Gaetano Manfredi, frutto del laboratorio politico tra PD e M5S datato 2021.

Se il percorso che oltre un decennio fa portò alla gestione pubblica e dal basso dell’acqua richiese mesi di confronto tra enti, cittadini e associazioni, quello inverso si è palesato come un fulmine a ciel sereno, contrario alla volontà popolare espressa nel 2011 e al recente impegno di Rigenera, realtà comprendente oltre cento associazioni che ha raccolto 13 mila firme e presentato una legge di iniziativa popolare contro i cambiamenti climatici e a tutela dei beni comuni. Il progetto, non ancora calendarizzato in Regione, prevede tra le altre cose la gestione totalmente pubblica delle risorse idriche.

ABC Napoli gode dell’affidamento da parte dell’Ente Idrico Campano per il quinquennio 2022-2027. «Già si dice con ipocrisia che saremo costretti dalla norma nazionale [un decreto legislativo del 2022 che impedisce di affidare la gestione di servizi pubblici essenziali ad aziende speciali, ndr] a trasformare l’azienda in SPA. Non è vero perché l’atto di affidamento del 2022 può essere prorogato per altri trent’anni, il pallino è nelle mani del sindaco Manfredi e della sua giunta», sottolinea il docente di Diritto costituzionale e pubblico all’Università Federico II Alberto Lucarelli su Altreconomia.

La privatizzazione è già realtà nella provincia di Napoli, in particolare nell’area vesuviano-sarnese, con la GORI del gruppo ACEA che da anni gestisce in modo privato il servizio idrico, con non pochi disservizi e malumori da parte dei cittadini che, in quanto popolo sovrano, vedono lesa la volontà espressa nel 2011. Alla luce della piega presa non si esclude che proprio la GORI, in una società mista con quel che resta dell’attore pubblico comunale, possa essere il futuro anche dell’area cittadina di Napoli. Un futuro dove il capoluogo campano direbbe addio all’unica esperienza su larga scala di gestione dell’acqua come bene comune e non merce da cui estrarre profitto.

[di Salvatore Toscano]

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