Da designer devo ammettere che, una volta creata la mia immagine, quella del mio marchio e declinato il mio mondo su abiti ed accessori, la mente spesso si perde in voli pindarici e pensa a come sarebbe bello allargarsi e collegare con quel gusto tessili per la casa, oggetti di design e magari anche i sedili interni di un bel furgone vintage. Poi la mente torna con i piedi per terra e si ridimensiona. Eppure, quella di apporre la propria firma o logo su qualsiasi cosa, dalle ceramiche per il bagno fino al rotolo di carta igienica, è qualcosa che ai grandi marchi del lusso piace tantissimo e alla quale nessuno sembra essere disposto a rinunciare. Anzi, la tendenza è quella ad allargarsi sempre di più, brandizzando non solo oggetti ma anche luoghi, invadendo la natura con la propria identità.
Si tratta di un passaggio graduale e che, proprio per questo motivo, passato inosservato, rendendo normale il fatto che un marchio di moda si infiltri più o meno prepotentemente nelle nostre vite, sotto forma di un accessorio, un rossetto, un profumatore per la casa, un pacco di caffè, delle lenzuola per sognare con un certo stile, un ristorante dove concedersi un’esperienza culinaria con doppia firma (di solito quella di uno chef superstar che affianca quella del brand in questione), un albergo completamente customizzato a regola d’arte e, perché no, anche una spiaggia!
Quello del mare è l’ultimo capriccio dei grandi marchi che, da un paio di stagioni a questa parte, hanno preso d’assalto i lidi più famosi, rifacendo il look a stabilimenti che per secoli sono andati avanti con le loro sdraio a righe bianche e blu (antichi!). Si trovano così spiagge personalizzate dalle maison più famose dal sud dello Stivale fino alle coste spagnole passando, ovviamente, per la Francia ed i lidi tres chic della Costa Azzurra.
Dolce e Gabbana ha sviluppato un progetto ad hoc, Dg Resort, pensato per portare il made in Italy e l’artigianalità italiana nei luoghi più belli d’Europa, dalle spiagge agli hotel, occupando visivamente, ma con fantasie e motivi differenti, la Liguria, Taormina, Saint Tropez e Marbella. Loro Piana, invece, ha preferito fermarsi in Toscana, ai Bagni Piero di Forte dei Marmi, firmando con un sobrio motivo a righe lo storico bagno. Missioni è sceso fino alla Sicilia, al Verdura Resort, dove non si è limitato a sdraio e lettini, ma ha dovuto aggiungere il suo tocco esclusivo anche al bar, con una cocktail list “Missoni e Verdura Resort” creata in collaborazione con i mixologist del resort e realizzata con gli ingredienti del territorio. Perché il brand non si deve solo indossare, ma ingerire, affinché valori e valore del marchio passino anche attraverso il corpo.
Alberta Ferretti è sbarcata a Maiorca, mentre Dior ha preferito offrire il suo tocco all’isola di Capri, ma anche a Taormina e alla Liguria, che ha dovuto sacrificare almeno tre delle sue Cinque Terre alle fantasie creati dai marchi di lusso. Anche l’impensabile marchio campano Marinella non ha resistito al nuovo trend e ha iniziato questa stagione una collaborazione con il beach club (che poi una volta si chiamavano “bagni”) Cava Regia a Vico Equense (in quello che un tempo era lo stabilimento dei miei nonni, avrei potuto customizzarlo io!), vicino al celebre ristorante Torre del Saracino. La lista è lunga e ce n’è per tutti i gusti ed in tutte le zone balneari più blasonate, contribuendo a creare un’atmosfera iper-esclusiva in posti che stanno diventando sempre più inaccessibili agli abitanti della zona. Se le dimensioni delle spiagge libere si riducono di anno in anno, e quelle attrezzate aumentano i prezzi in nome del design, dove andranno al mare i comuni mortali?
La mercificazione del territorio e la brandizzazione di terra e mare stanno raggiungendo livelli davvero preoccupanti: località balneari trasformate in location, spot talmente instagrammabili da essere di richiamo non per il loro valore naturalistico, culturale, culinario o storico, ma semplicemente perché sulla cresta dell’onda e talmente perfetti come scenografia per il prossimo reel da non poterseli lasciar scappare. Così, anche i ricordi delle vacanze, porteranno l’etichetta di un marchio. Possibile che ci siamo lasciati marchiare la vita fino a questo punto? E possibile che non esista un limite oltre il quale il brand non si possa spingere? Un qualsiasi tipo di tutela ambientale ed etica contro la brandizzazione del mondo? Forse no, forse è troppo tardi. Dal momento che tutto ha un prezzo e che tutto è in vendita, nel giro di poco ci troveremo anche l’anima marchiata. Dopotutto, anche il Diavolo ha ceduto il suo outfit a Prada.
[di Marina Savarese]
🤣🤣🤣
Devo essere sincero era un pezzo che non provavo la malsana idea che fare a pezzi questo mondo potrebbe non essere così malvagia come attività.
Tutta gente che dovrebbe passare qualche anno a fare hoc tap