«La scienza manipola le cose e rinuncia ad abitarle»: cosi inizia L’occhio e lo spirito di M. Merleau-Ponty (1960), l’ultimo lavoro del filosofo francese dove si effettua una critica del pensiero riflessivo, il pensiero autosufficiente, chiuso in se stesso, che non si impegna a rendere ragione dell’esperienza del mondo.
Ognuno invece deve rendersi conto che non vi può essere vita interiore se non tentando di porsi in relazione con gli altri, come osservava ancora Merleau-Ponty nei suoi splendidi interventi radiofonici, le Causeries, nel 1948, con una affermazione che rivelava uno dei principi basilari dell’esistenzialismo.
Occorre dunque che ognuno di noi, sappia vedersi dal di fuori, che il vivente diventi protagonista in quanto spettatore di se stesso: cioè che ognuno di noi si pensi oggetto di osservazione, personaggio audiovisivo, mediatico, anche senza esserlo davvero. Osservazioni queste, allora profetiche ma che possono oggi apparire banali, circondati come siamo dalla necessità di dimostrare la nostra esistenza on-line e via smartphone, a partire dal nostro esterno, dalle ricezioni possibili che siamo in grado di generare.
Uno dei mezzi che può produrre una riflessività aperta, multipolare, persino vertiginosa, è la fotografia perché sembra un via mediatica, figurale, ma anche ancorata alla vita, all’esperienza, una via semplice per capire che il presente si può trasfigurare, tra il momento dello scatto e il secondo presente quando l’immagine riprodotta viene osservata.
La foto è una moltiplicatrice di tempi, di spazi, di mondi, un mezzo quantico che disarticola le traiettorie del visibile e mostra ciò che senza la foto non avremmo visto, ciò che non riusciremmo a immaginare, ma in questo modo diventa cinema.
Il cinema, una strada più complessa, più filosofica, che mette in gioco diversi tempi e azioni di produzione e che, mentre racconta, rappresenta, mostra, fa parlare e offre musiche all’immaginario, permettendo di sentirci insieme testimoni e protagonisti di una avventura.
Abitare dunque le cose, in un’impressione di mondo, potendo trasformare ogni percezione in una scintillante interpretazione, anche semplicemente interiore, il motus animi degli antichi.
[di Gian Paolo Caprettini]