venerdì 23 Agosto 2024

Una sentenza stabilisce che in Italia il diritto allo studio dei disabili è subordinato al bilancio

Una nuova pronuncia del Consiglio di Stato rischia di compromettere in maniera significativa il diritto allo studio degli studenti disabili. Si tratta della sentenza n. 1798/2024 dello scorso 12 agosto, attraverso cui i giudici amministrativi hanno rigettato il ricorso dei genitori di un alunno con bisogni speciali cui il Comune aveva deciso di tagliare le ore di assistenza scolastica delineate dal PEI – piano educativo individualizzato – a causa della mancanza di fondi. Sulle barricate le associazioni che promuovono il diritto all’inclusione, che sottolineano con forza come questa pronuncia, a differenza di quanto sancito da recenti sentenze della Corte Costituzionale, sembri subordinare i diritti degli studenti con disabilità alle disponibilità finanziarie degli enti locali. In seguito alle proteste, è intervenuta anche la ministra per le disabilità, Alessandra Locatelli, la quale ha definito «ingiusta» la decisione, auspicando che il Consiglio di Stato possa presto rivederla.

Nello specifico, la pronuncia è scaturita da un caso che riguarda la riduzione delle ore di assistenza scolastica – che da 13 sono passate a 7 – assegnate a uno studente per l’anno scolastico 2022/2023 da parte di un Comune emiliano per ragioni di bilancio, in contrasto con le previsioni del Piano Educativo Individualizzato (PEI) e con quanto richiesto dalla scuola e dall’ASL locale. Il tutto è avvenuto senza alcun coinvolgimento dei genitori del ragazzo, che hanno avanzato ricorso al TAR e poi al Consiglio di Stato, senza successo. Il Consiglio ha infatti sancito che il PEI – piano personalizzato redatto per gli studenti con disabilità, finalizzato a offrire un supporto delineato sulle specifiche esigenze e capacità di ognuno di loro – abbia solo valore di proposta e, dunque, non sia vincolante. I giudici hanno infatti spiegato che il legislatore, con il d.lsg. 66/2017, ha attribuito agli enti locali la competenza di assegnare le risorse per l’assistenza «nei limiti delle risorse disponibili». Il Consiglio ha poi richiamato il concetto di «accomodamento ragionevole», partorito dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, sostenendo che i diversi Stati non siano tenuti a farsi carico di oneri sproporzionati o eccessivi per garantirlo. Ciò che salta subito all’occhio è che tale sentenza del Consiglio di Stato si pone in controtendenza rispetto a una consolidata scia giurisprudenziale che ha difeso a spada tratta il diritto allo studio degli alunni con disabilità. In particolare, a tracciare la linea era stata la Corte Costituzionale con due importanti decisioni – la sentenza n.80 del 2010 e la sentenza n. 275 del 2016 -, in cui era stata stabilita l’inviolabilità di tale diritto per i ragazzi disabili.

A reagire duramente alla sentenza è stata, in prima battuta, la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap (Fish), che ha evidenziato come tale pronuncia arrivi a negare il diritto all’assistenza per l’autonomia e la comunicazione, dequalificandolo a un semplice interesse legittimo. Il polverone che si è sollevato ha portato anche la ministra per le disabilità, Alessandra Locatelli, ad augurarsi che il Consiglio di Stato possa modificare la sua decisione in adunanza plenaria, garantendo «a tutti gli alunni gli stessi diritti di partecipazione e di crescita, non solo scolastica, ma anche sociale, civile e culturale». «Si tratta di una sentenza molto pericolosa, che fa molto comodo a Comuni, Regioni e ASL, perché giustifica questi enti a provvedere a tagli nei confronti di persone con fragilità – dichiara a L’Indipendente Marco Macrì, rappresentante di 2mila famiglie con bambini disabili senza cure e membro di Genova Inclusiva -. Trovo estremamente inquietante che l’impegno a colmare il gap tra una persona normodotata e una persona disabile sia diventata una mera questione di soldi». Macrì sottolinea come questa sentenza rappresenti «un ulteriore sgarro» nei confronti delle persone disabili, già «ampiamente discriminate a livello politico, sociale ed economico», sollecitando «tutte le forze politiche» a «prendere posizione in modo netto contro questa pronuncia».

[di Stefano Baudino]

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