sabato 24 Agosto 2024

“Under Consumption Core”: il movimento che contrasta il consumismo sui social

Nauseati dai video di bagni carichi di cosmetici per infiniti rituali di bellezza, dagli spacchettamenti degli ultimi acquisti, da uno sfoggiare costante di vite vissute al di sopra delle proprie possibilità inseguendo un lusso tanto apparente quanto inarrivabile, alcuni creatori di contenuti di Tik Tok hanno iniziato a dire basta! Basta ai nuovi acquisiti, basta video di pubblicità a prodotti di dubbia qualità, basta influencer e le loro vite lussuose. Che il troppo abbia finalmente stroppiato? Il tutto, come sempre, è diventato una tendenza sulla piattaforma, che ha preso il nome di under consumption core, ovvero una celebrazione del sottoconsumo (“core“, nel gergo della cultura pop e in particolare di TikTok, significa essenzialmente “estetica” o “stile” ed è spesso aggiunto alla fine dei nomi delle tendenze), un invito al ridimensionare l’approccio agli acquisti, da impulsivi a consapevoli.

Negli  ultimi mesi la piattaforma social si è riempita di video che mostrano aspetti realistici di vite altrettanto reali (sempre a favore di camera, ma con un tocco di consapevolezza alle spalle), senza orpelli e senza il bisogno di ostentare (si contano circa 10.000 video con questo hashtag). Decorazioni per la casa prese in prestito, prodotti a metà che ancora vengono usati, vestiti rammendati e addirittura abbinamenti di capi che si ripetono negli stessi video, oltre che dispense con il minimo indispensabile. Riparare e usare quello che si ha, senza bisogno di ricorrere al nuovo ad ogni costo per essere allineati con le ultime uscite. Niente di nuovo all’orizzonte per chi è già avvezzo a questi temi, ma indubbiamente in controtendenza per una piattaforma basata su pubblicità continue e inviti all’acquisto di qualunque cosa, meglio se di dubbia utilità ma di alto impatto estetico e sociale. Fa riflettere poi, che a promuovere questo stile di vita, siano giovani tra i venti ed i trent’anni, cresciuti a pane e fast fashion (e in generale ad articoli di qualunque tipo di bassa qualità e durata limitata nel tempo), ma a quanto pare stufi di essere trattati come pozzi senza fondo da aziende che spingono loro a consumare a ritmo continuo.

Più che una nuova ondata di minimalismo, come è stata etichettata dai più, qui  si tratta di promemoria virtuali che ricordano che avere abitudini di acquisto sane e adeguate ai propri mezzi è normale e, anzi, auspicabile per una vita serena e senza ansia da prestazione. Il focus, infatti, non è solo sul comprare o meno, ma sul fare i conti anche con la propria economia, senza cadere negli appetibili meccanismi di rateizzazioni o microprestiti, che rendono comunque dipendenti (e indebitati) pur di non essere da meno e stare al passo con gli altri. In fondo, non possiamo fare finta che ci sia del benessere diffuso quando spesso si fatica ad arrivare alla fine del mese. 

Quello di adottare uno stile di vita meno consumistico e più attento alle problematiche sociali ed ambientali non è del tutto nuovo alla piattaforma: basta pensare al recente fenomeno del de-influencing dove l’incoraggiamento quotidiano era quello al non comprare affatto. Il fatto che ci sia un crescente interesse verso queste tematiche, ed una rapida diffusione dei concetti ad esse legate, lascia ben sperare. 

La domanda (e le critiche) a questo punto arriva spontanea: ci volevano i tiktokers a ricordarcelo? Obiettivamente no, ma forse sì. Nonostante la piattaforma sia una trappola progettata per creare dipendenza e mietere vittime, soprattutto tra i più giovani (ma nessuno escluso), attivare riflessioni che stimolino ad un pensiero differente ha comunque delle implicazioni positive. Invitare a scendere dalla ruota del consumismo di massa, innescando un cambiamento culturale di più ampio respiro, è cosa buona e giusta, anche con video di trenta secondi che scorrono a ciclo continuo. Visto che al martellamento costante non riusciamo ancora sottrarci, meglio essere tempestati di messaggi positivi che intontiti da annunci pubblicitari.

Quando poi capiremo che il mondo è volutamente progettato intorno alla creazione di un’infelicità costante e di bisogni continui (se fossimo felici con quello che abbiamo non avremmo bisogno di comprare altro, e questo per l’economia non è buono), forse impareremo che il più grande atto rivoluzionario è essere felici con la nostra esistenza, a nostro agio con la nostra umana confusione, senza bisogno di upgrade inutili. 

[di Marina Savarese]

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