Sono dodici i capi di accusa che la Procura francese ha mosso contro Telegram dopo l’arresto di Pavel Durov, il fondatore della piattaforma di messaggistica arrestato [1] lo scorso 24 agosto all’aeroporto Le Bourget, fuori Parigi, di ritorno da un viaggio in Azerbaigian. La vicenda ha avuto una forte eco mediatica e ha suscitato diversi interrogativi sulla libertà d’espressione e d’informazione in Europa e sui veri motivi che hanno indotto le autorità francesi a procedere all’arresto del miliardario russo con doppia cittadinanza, emiratina e francese. Il Tribunale giudiziario di Parigi, in un comunicato pubblicato ieri, ha reso noto che i capi di accusa sono mossi contro una persona non identificata, senza quindi riferirsi direttamente al fondatore della piattaforma e comprendono, tra gli altri, la complicità nel facilitare transazioni illegali da parte di bande criminali; il rifiuto di collaborare con le autorità competenti sul rilascio di informazioni e documenti necessari per effettuare intercettazioni consentite dalla legge; complicità nel possesso di immagini pornografiche di minori; complicità nell’acquisto, trasporto, detenzione, offerta e vendita di sostanze stupefacenti; complicità in frode organizzata; associazione a delinquere finalizzata a commettere un reato o un crimine punibile con la reclusione pari o superiore a cinque anni; riciclaggio di proventi derivanti da reati e crimini di gruppi organizzati. Tra le accuse ne compaiono anche tre relative alle tipologie di crittografie utilizzate dalla piattaforma. Il documento [2] della Procura francese, inoltre, sottolinea che l’indagine giudiziaria è partita l’8 luglio 2024, ossia oltre un mese fa, a seguito di un’ulteriore indagine avviata dalla sezione “Lotta contro la criminalità informatica” della Procura della Repubblica di Parigi. E sarebbe «in questo quadro procedurale che Pavel Durov è stato interrogato dagli investigatori», si legge nel comunicato.
Le imputazioni rivolte a Telegram derivano dalla mancanza di moderazione e dal rifiuto a collaborare con i governi e con le autorità competenti da parte degli amministratori e del fondatore della società di messaggistica con sede a Dubai. Tuttavia, secondo molti osservatori le ragioni sarebbero più politiche che giudiziarie e riguarderebbero il mancato rispetto da parte di Telegram degli standard imposti dalla comunità europea alle grandi piattaforme online attraverso il Digital Services Act [3]. Quest’ultimo impone a social network e a motori di ricerca la rimozione di determinati contenuti ritenuti non conformi ai regolamenti europei e/o accusati genericamente di “disinformazione”. Le piattaforme e i motori di ricerca devono presentare delle relazioni annuali alle autorità europee durante le quali devono elencare le iniziative messe in atto per evitare la diffusione di informazioni false o di contenuti illeciti. Le società che non si conformano al regolamento possono essere multate per un importo pari fino al 6% del fatturato. Questo regolamento però rischia di promuovere una sorta di censura mascherata rispetto ai contenuti che è possibile pubblicare online, con l’obiettivo di lasciare in circolazione solo le notizie conformi alla linea politica euro-atlantica. Cosa che non avviene su Telegram, dove, per esempio, spopolano in egual misura canali filo ucraini e filorussi e, durante il periodo pandemico, studi scientifici o opinioni critiche rispetto alle misure pandemiche e ai vaccini non sono mai state censurate. In merito è intervenuto anche il presidente francese Macron che ha voluto immediatamente chiarire che il provvedimento non è politico, ma giudiziario: «La Francia è molto attaccata alla libertà di espressione e comunicazione, all’innovazione e all’imprenditorialità. L’arresto del capo di Telegram è avvenuto nell’ambito di un’indagine giudiziaria in corso. Questa non è in alcun modo una decisione politica. La decisione spetta ai giudici», ha affermato Macron.
La dichiarazione del capo dell’Eliseo non è bastata però a dissipare i dubbi sui reali motivi dell’arresto di Durov né a placare l’indignazione di una parte cospicua della politica e del mondo mediatico: diversi politici austriaci e tedeschi si sono schierati [4] dalla parte del fondatore di Telegram, mentre il giornalista americano Tucker Carlson ha asserito che quanto avvenuto in Francia è «un chiaro avvertimento per qualsiasi proprietario di piattaforma che si rifiuti di censurare la verità per volere dei governi e delle agenzie di intelligence». L’arresto di Durov del 25 agosto è stato prorogato e potrà durare fino ad un massimo di 96 ore, ossia fino al 28 agosto, giorno in cui il miliardario russo sarà rilasciato. L’indagine relativa al caso Telegram è condotta dall’Unità criminalità informatica e dall’Ufficio per la lotta antifrode. Se ritenuto colpevole Durov rischierà fino a vent’anni di carcere.
L’imprenditore russo è noto per la tendenza a non fornire informazioni sugli utenti ai governi: già nel 2014 aveva lasciato la Russia dopo essersi rifiutato di consegnare a un’agenzia di intelligence russa i dati ucraini di VK, il social network più usato in Russia, che aveva contribuito a fondare nel 2006. In difesa di Durov si è schierato anche Edward Snowden, ex tecnico della CIA, noto per aver svelato diversi programmi segreti di sorveglianza di massa del governo statunitense e di quello britannico. Secondo Snowden, l’arresto di Durov è «un attacco ai diritti fondamentali di libertà di parola e di associazione».
[di Giorgia Audiello]