martedì 3 Settembre 2024

L’alternativa di pace, il massacro di Gaza e la politica USA: intervista a Medea Benjamin

Arrivata da Istanbul in volo per Washington, la celebre femminista e attivista per la pace Medea Benjamin ha voluto fare una sosta a Roma per poter incontrare il pubblico della Capitale questa sera, martedì 3 settembre, dalle 18:00 presso la Casa Internazionale delle Donne a Trastevere. L’incontro è aperto a tutti e ci sarà spazio per domande dal pubblico. La co-fondatrice del gruppo “CodePink”, una delle maggiori associazioni anti-militariste ed ecologiste statunitensi, ha concesso ai lettori de L’Indipendente un’anteprima di quanto dirà su Gaza, sulle guerre infinite e sulle prossime elezioni presidenziali statunitensi, rispondendo ad alcune nostre domande.

Cominciamo con le prossime elezioni presidenziali del 5 novembre negli Stati Uniti. Molti elettori pacifisti potrebbero astenersi o votare candidati minori, lei ha preso una posizione?

Ci troviamo tra l’incudine e il martello, purtroppo. La triste verità è che, negli Stati Uniti, pur esistendo la possibilità di votare per un candidato terzo, quel candidato non ha nessuna possibilità di vincere. I candidati e le piattaforme dei due principali partiti politici, soprattutto quando si tratta di politica estera, sono guerrafondai tutti quanti; non danno ascolto a ciò che la maggioranza del popolo americano vuole e merita; ma, al momento attuale, non c’è modo per scansarli.

Alle prossime elezioni presidenziali voterò per la candidata del Partito Verde Jill Stein. Lei rappresenta i miei valori. Ritengo che il mio voto per i Verdi non può aiutare Trump in nessun modo e, in compenso, può segnalare ai miei concittadini che un’alternativa di pace esiste e che ora tocca a noi farla crescere e farla pesare.

Premesso ciò, in generale, non incoraggio le persone a votare per un determinato candidato. Molti dei miei amici voteranno per il Partito Verde perché la questione di Gaza è primaria per loro e non potrebbero votare per nessun candidato che continui a sostenere Israele. Ma ho anche molti amici che sono terrorizzati dalla possibilità che Donald Trump vinca; inoltre costoro sono molto d’accordo con la piattaforma di politica interna del Partito Democratico, in forte contrasto con quella dei Repubblicani. Molti non solo voteranno per Kamala Harris, ma stanno aiutando la sua campagna. D’altra parte, ho anche amici, in verità non molti, della scuola «tanto peggio tanto meglio»: voteranno per Donald Trump perché pensano che sia un modo per accendere una miccia. Cioè, pensano che la gente, toccata nel vivo dalle politiche di Trump, gli si solleverà contro.

In Italia alle ultime elezioni l’astensione ha toccato il 63% e molti si chiedono cosa si può fare in elezioni intrinsecamente truccate come quelle in un’economia capitalista, dove solo pochi partiti hanno fondi economici e media compiacenti che gli permettono di provare a vincere e che rispondono tutti quanti, a gradi diversi, al Grande Capitale e non al popolo?  Hai qualche consiglio per gli elettori italiani?

Non ho consigli per gli elettori italiani, come, del resto ne ho pochi per gli elettori del mio Paese. Ma quello che penso è che spesso spendiamo troppo tempo ed energie a parlare della politica elettorale invece di costruire movimenti di massa. Mi dà speranza constatare che, negli Stati Uniti, c’è un nuovo movimento che si sta creando intorno alla questione di Gaza. Ma la questione è molto più ampia. C’è tutto un cambiamento di mentalità in molte persone, soprattutto nelle generazioni più giovani. Si stanno rendendo conto che il nostro attuale governo deve essere radicalmente trasformato se vuole soddisfare i bisogni della gente. Questo è vero riguardo alla crisi ecologica, ma anche riguardo al bisogno di alloggi a prezzi accessibili, al soffocante debito universitario, alla necessità di un sistema sanitario funzionante per tutti e via discorrendo. 

Ma bisogna volere davvero quei cambiamenti. Mentre il voto è un’attività che richiede circa mezz’ora di tempo e si svolge ogni due o quattro anni, la costruzione di movimenti trasversali è qualcosa che richiede impegno e lavoro ogni giorno. Se riusciremo ad essere più efficaci nel costruire questi movimenti, potremo avere un maggiore impatto anche sui rappresentati politici. 

Il Partito Verde americano l’ha nominata Segretario di Stato ombra, cioè ministro degli Esteri per l’opposizione; cosa farebbe se fosse al governo?

Gli Stati Uniti dovrebbero rientrare immediatamente nell’accordo nucleare con l’Iran e usarlo come punto di partenza per ulteriori discussioni su questioni regionali. Ciò contribuirebbe ad allentare le tensioni mediorientali e a impedire che il conflitto degeneri in un conflitto nucleare. Dovrebbero revocare le sanzioni economiche a molti Paesi in cui la popolazione soffre a causa di queste misure illegali, come a Cuba, Venezuela, Nicaragua, Iran e Corea del Nord. Queste sanzioni sono, in realtà, una guerra svolta con altri mezzi; costituiscono una punizione collettiva e pertanto sono illegittime. Danneggiano soprattutto i poveri, non i governi. 

Per quanto riguarda il conflitto in Ucraina, avvierei immediatamente dei colloqui con i ministri degli Esteri di Russia e di Ucraina per sollecitare una soluzione negoziata invece di continuare ad alimentare una guerra che non potrà essere vinta sul campo di battaglia. Darei molta importanza a dialogare con la Cina, soprattutto per ricercare i modi in cui i nostri due Paesi possono collaborare per affrontare la crisi climatica. Smetterei anche di armare Taiwan e solleciterei il Pentagono a interrompere i massicci giochi di guerra statunitensi nel Pacifico, che sembrano studiati soltanto per intimidire la Cina. Queste mosse contribuirebbero ad allentare le tensioni nell’Indo-Pacifico. Sarebbe la saggia accettazione di un dato di fatto, piaccia o meno: oggi viviamo in un mondo multipolare con la Cina come superpotenza principale. 

Per quanto riguarda il Medio Oriente, incoraggerei il Presidente ad imporre subito un embargo sulle armi a Israele. Collaborerei con il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, con l’Assemblea generale dell’ONU, con il Tribunale penale internazionale e con la Corte internazionale di giustizia per porre fine immediatamente al massacro a Gaza e per elaborare una soluzione giuridica veramente giusta, cioè che dia realmente pari diritti ai palestinesi.

In generale, userei il potere della diplomazia per promuovere la cooperazione con i Paesi di tutto il mondo, invece di usare la forza militare degli Stati Uniti per cercare di imporre,  sulle altre nazioni, le politiche volute dai nostri poteri forti. L’arte della diplomazia dovrebbe essere ciò che caratterizza un Segretario di Stato. Invece troppo spesso vediamo Segretari di Stato che non sono altro che commessi viaggiatori per il Pentagono.

Lei ha passato questi ultimi 10 mesi a cercare di convincere i membri del Congresso a fare qualcosa contro il il genocidio a Gaza. Un compito non facile, vista la forte presa che esercita la lobby pro-Israele (AIPAC) sul Congresso. Ha ottenuto qualche risultato?

Negli ultimi dieci mesi ho assistito a molti cambiamenti nel Congresso, anche se dolorosamente lenti e non sufficienti. A fine ottobre, c’erano solo 18 membri del Congresso, su 435, disposti a firmare una risoluzione per il cessate il fuoco. Ora ci sono più di 100 membri che chiedono il cessate il fuoco. Mentre un tempo sarebbe stato inconcepibile che i membri del Congresso chiedessero un embargo sulle armi, ora iniziamo a vedere un maggior numero di rappresentanti che esprimono la loro disapprovazione. È certamente difficile contrastare il potere dell’AIPAC e dei gruppi sionisti cristiani, ma abbiamo iniziato a farlo. Il fatto che l’AIPAC ritenga di dover spendere somme di denaro sempre più ingenti per “disciplinare” i membri del Congresso affinché assumano posizioni pro-Israele, dimostra che quella lobby sta perdendo potere. Questo è vero soprattutto tra i giovani americani, in particolare tra i giovani ebrei americani. Questo fa sperare che i nostri futuri leader avranno più sensibilità per i palestinesi oppressi e gettino le basi di una politica più equilibrata in Medio Oriente.

[di Patrick Boylan – autore del libro Free Assange e co-fondatore del gruppo Free Assange Italia]

L'Indipendente non riceve alcun contributo pubblico né ospita alcuna pubblicità, quindi si sostiene esclusivamente grazie agli abbonati e alle donazioni dei lettori. Non abbiamo né vogliamo avere alcun legame con grandi aziende, multinazionali e partiti politici. E sarà sempre così perché questa è l’unica possibilità, secondo noi, per fare giornalismo libero e imparziale. Un’informazione – finalmente – senza padroni.

Ti è piaciuto questo articolo? Pensi sia importante che notizie e informazioni come queste vengano pubblicate e lette da sempre più persone? Sostieni il nostro lavoro con una donazione. Grazie.

Articoli correlati

Iscriviti a The Week
la nostra newsletter settimanale gratuita

Guarda una versione di "The Week" prima di iscriverti e valuta se può interessarti ricevere settimanalmente la nostra newsletter

Ultimi

Articoli nella stessa categoria