giovedì 5 Settembre 2024

Più fondi e meno burocrazia per i produttori di armi: il piano Draghi per la nuova Europa

«L’industria comunitaria della difesa si trova ad affrontare sfide strutturali in termini di capacità, competenze e vantaggio tecnologico; l’UE non riesce a tenere il passo con i suoi concorrenti globali». Così recita un breve estratto del nuovo “Rapporto Draghi” sulla competitività europea, commissionato al banchiere dalla Presidentessa della Commissione UE Ursula von der Leyen. Il documento è stato visionato in via esclusiva dal quotidiano statunitense Politico, che riporta che secondo l’ex Premier italiano le industrie della difesa dovrebbero avere pieno accesso ai fondi europei e che le fusioni tra aziende non dovrebbero essere bloccate, indipendentemente dalle questioni sulla concorrenza. «Con il ritorno della guerra nelle immediate vicinanze dell’UE», scrive Draghi, l’Europa «dovrà assumersi una responsabilità crescente per la propria difesa e sicurezza», ma per ora non sta facendo abbastanza. Dopo un’intensa stagione di dibattito su armi da inviare a Kiev e fondi da stanziare per il comparto bellico, l’Europa torna insomma a parlare di industria della difesa e militare, e lo fa, su sua stessa ammissione, nell’ottica di un potenziale allargamento del conflitto ucraino.

Il Rapporto Draghi è stato presentato a porte chiuse a Bruxelles nella giornata di ieri, mercoledì 4 settembre, ma il testo integrale del documento non è ancora di dominio pubblico; stando a quanto dice Politico, dovrebbe essere pubblicato nella seconda settimana di settembre. Lo stesso quotidiano statunitense Politico ha letto in esclusiva una bozza del testo, e ha riportato parte del contenuto in un articolo uscito lunedì 2 settembre, in cui si concentra su uno dei punti chiave dell’analisi: l’industria della difesa. Punto centrale dello studio è la sostanziale incapacità dell’industria europea della difesa di tenere il passo con il mercato globale; spesa pubblica giudicata insufficiente, accesso a un mercato su scala domestica, poco coordinamento interno, e tanta dipendenza dagli acquisti provenienti dall’esterno sono solo alcune delle osservazioni dell’ex Presidente della Banca Centrale Europea riguardo al settore della difesa e della produzione. La soluzione è semplice: più investimenti, più denaro, più libertà, maggiore accesso ai fondi europei, e meno vincoli burocratici.

Tra le raccomandazioni di Draghi ci sarebbe anche l’elaborazione di quello che sembra venire definito “Principio di preferenza europea” per incentivare il ricorso a soluzioni europee nell’ambito della difesa, a scapito dei concorrenti. Il banchiere propone inoltre di definire un modello di governance trasversale agli organi già in essere, e – analogamente a quest’ultimo punto – di creare una “Autorità per l’industria della difesa” centralizzata che lavorerà a livello centrale per conto dei Paesi dell’UE. Questa, secondo gli schemi di Draghi, sarebbe «gestita dalla Commissione europea e co-presieduta dal vertice dell’Agenzia europea per la difesa», e sarebbe composta da gruppi specifici per ogni settore, «composti da rappresentanti dell’industria e degli Stati membri dell’UE».

L’argomento secondo cui l’Unione Europea dovrebbe puntare di più sul proprio settore della difesa, tanto per ragioni economico-finanziarie, quanto per la sempre più concreta possibilità di entrare direttamente nei conflitti in corso, è portato avanti da molti. L’industria militare, dopo tutto, è una delle più redditizie al mondo. Si pensi che, secondo lo Stockholm Institute, nel 2023 solo le spese militari dei singoli Paesi sono valse 2.443 miliardi di dollari, pari al 2,3% del PIL mondiale. Tali voci di spesa figurano inoltre in crescita, tanto che dal 2022 al 2023 hanno vissuto un incremento del 6,8%, «il più alto dal 2009». Questo è solo uno dei motivi per cui dall’inizio dell’anno le autorità comunitarie hanno iniziato a parlare sempre di più di difesa: sin da febbraio, infatti, è stato lanciato il piano per la difesa comune europea, un programma dal valore di 100 miliardi di euro incentrato proprio sull’aumento della produzione e degli scambi interni. I principali punti della strategia europea saranno quattro: spendere «di più», spendere «meglio», spendere «in Europa», e «imparare sul campo», dall’Ucraina.

Proprio la questione Ucraina, nell’ottica di un allargamento del conflitto, è un’altra delle motivazioni che spingono l’UE a investire maggiormente sulla difesa. I segnali che l’Occidente si starebbe preparando a un’escalation, infatti, non sono pochi. La NATO si sta infatti allargando sempre più in Europa, con nuove strutture in Lettonia e Lituania, una nuova base in Romania in ottica anti-Russia, e il nuovo comando di addestramento delle truppe ucraine istituito in Germania. Gli USA, inoltre, hanno rafforzato le loro alleanze sul Mar Baltico e, sempre in Scandinavia, l’alleanza atlantica ha visto due nuove adesioni nel giro di pochi mesi con l’entrata di Svezia e Finlandia, garantita da un accordo di scambio con la Turchia firmato sulla pelle dei curdi. Il tema dell’impiego di armi comunitarie su suolo russo lanciato dall’ex Segretario della NATO Stoltenberg è ormai sdoganato e c’è chi, come Macron, sta di fatto cercando alleati per l’escalation con la Russia, parlando di questioni come l’invio di truppe terrestri all’Ucraina.

[di Dario Lucisano]

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