Mercoledì mattina, un delitto dai contorni ancora da chiarire si è verificato a Cernusco sul Naviglio, nella periferia di Milano. Il 36enne Antonio Bellocco, rampollo dell’omonima famiglia di ‘Ndrangheta e membro del direttivo del gruppo ultras Curva Nord Milano 1969, è stato ucciso con due coltellate alla gola da Andrea Beretta, storico capo ultras della squadra milanese, di fronte a una palestra. Quest’ultimo, raggiunto da un colpo di pistola nello scontro, è stato ricoverato in ospedale. Ora è indagato per omicidio e detenzione illegale di arma da fuoco, poiché la pistola che ha sparato sarebbe stata sua. Al netto dello specifico movente del delitto, questa vicenda rappresenta solo l’ultimo tassello di una storia piena di ombre, che vede la presenza di intensi legami tra capi ultras nerazzurri e importanti personaggi di ‘Ndrangheta trapiantati a Milano. Un fenomeno che, in realtà, continua a coinvolgere tifoserie organizzate di diverse squadre del nostro Paese, grandi e piccole, da Nord a Sud. Il caso non deve ovviamente criminalizzare l’intero panorama ultras, fatto di centinaia di sigle che nulla hanno a che fare con il mondo della criminalità organizzata. Ma, sullo spaccato complessivo, è interessante provare a fare luce.
Il clan Bellocco
Bellocco non era un tifoso qualunque. La vittima dell’omicidio di Cernusco sul Naviglio, infatti, era il figlio del boss Giulio Bellocco, morto a gennaio nel carcere di Opera dopo aver scontato molti anni al 41-bis. Su Bellocco jr., investito dall’inchiesta “Vento del Nord”, gravava una condanna definitiva a 9 anni per mafia. Secondo i magistrati, infatti, egli forniva «un costante contributo per la vita dell’associazione in occasione dei colloqui con la madre Aurora Spanò», da lui aggiornata «sugli avvenimenti più recenti relativi a dinamiche d’interesse del sodalizio» attraverso «messaggi e informazioni degli altri affiliati»; inoltre, «forniva un contributo rilevante nella consumazione di alcuni reati fine», mettendosi «a completa disposizione degli interessi della cosca». L’influenza criminale dei Bellocco in Lombardia era già stata ampiamente evidenziata tra il 2010 e il 2015, quando la DDA di Reggio Calabria aveva sequestrato vari beni appartenenti alla famiglia, dislocati tra le province di Bergamo, Brescia, Mantova e Reggio Calabria, per un ammontare di 4,5 milioni di euro. Nel 2012, poi, erano stati arrestati 23 soggetti legati alla cosca, ritenuti a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso, detenzione di armi da fuoco, riciclaggio, rapine e intestazione fittizia dei beni. Le indagini della magistratura hanno svelato come gli affari del clan avessero grande influenza sulle attività della curva Nord interista, in particolare attraverso la gestione dei biglietti e il controllo della vendita di prodotti contraffatti.
Una lunga storia
Molti altri episodi evidenziano i nessi tra influenti personaggi del tifo organizzato interista e associazioni mafiose. Il magistrato Paolo Storari, che si sta occupando del delitto Bellocco, è infatti già titolare di un’indagine sui legami mafia-tifoserie incentrata sull’omicidio di Vittorio Boiocchi, storico capo ultras interista – cui Bellocco era molto legato – che nel 2022 venne assassinato sotto la sua abitazione. Boiocchi aveva collezionato ben 26 anni di carcere dal 1992 al 2018 per reati di associazione a delinquere, traffico internazionale di stupefacenti, ricettazione, porto e detenzione illegale di armi, sequestro di persona e furto. Come dimostrano le carte processuali, era direttamente collegato a boss di Cosa Nostra e ‘Ndrangheta, nonché a esponenti della mafia pugliese e della mafia del Brenta. L’uomo sarebbe stato attivo nella gestione degli accessi illegali allo stadio e di parcheggi VIP, nonché nelle operazioni di bagarinaggio. Nel 2021, poi, era arrivata la condanna a 3 anni e 6 mesi di carcere per tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose per l’ultras interista Domenico Bosa, legato al clan di ‘Ndrangheta dei Bruzzaniti e inquadrato come uno dei leader del movimento neonazista milanese Hammerskin.
La metastasi
Il cancro rappresentato dai legami tra la criminalità organizzata e settori ultras non è ovviamente circoscritto soltanto alla curva nerazzurra, trattandosi invece di una vera e propria metastasi che ha investito il tifo organizzato di moltissime squadre italiane. A fare luce su questo tema è stata, nel 2017, la Commissione Parlamentare Antimafia, che ha ripercorso vicende che hanno appurato il ruolo dei gruppi criminali all’interno degli stadi. Dai lavori della Commissione è emerso che a Torino la ‘Ndrangheta «si è inserita come intermediaria e garante nell’ambito del fenomeno del bagarinaggio gestito dagli ultras della Juventus», arrivando a «controllare i gruppi ultras che avevano come riferimento diretto diverse locali di ’ndrangheta». Spesso, come nei casi di Catania e Napoli, i capi ultras sono soggetti che appartengono organicamente ad associazioni mafiose o a esse collegate; in altri casi ancora, come quello del Genoa, nonostante non sia stata provata la saldatura tra la componente criminalità organizzata e quella della criminalità comune, le modalità organizzative e operative dei leader del tifo organizzato, scrive la Commissione, «vengono spesso mutuate da quelle delle associazioni di tipo mafioso».
La Commissione si è occupata anche della Lazio, ricordando come già negli anni 2000 un gruppo riconducibile ai Casalesi avesse tentato di acquistare un grosso pacchetto delle quote azionarie della società attraverso il riciclaggio di denaro sporco. Nella relazione si ricorda la condanna per tentata estorsione nei confronti del presidente della Lazio, Claudio Lotito, a carico del capo ultras Fabrizio Piscitelli, detto “Diabolik” . Narcotrafficante legato ai Casalesi e alla ‘Ndrangheta, nel 2017 Piscitelli si sedette coi principali leader criminali della Capitale per discutere della “pax mafiosa” a Ostia, dove era in atto uno scontro tra gli Spada e il clan di Marco “Barboncino” Esposito, legato ai Triassi. Due anni dopo, “Diabolik” fu freddato in pieno giorno con un colpo alla testa al Parco degli Acquedotti da un killer arruolato su commissione.
[di Stefano Baudino]