Il bavaglio alla stampa sulla cronaca giudiziaria è a un passo dal diventare legge dello Stato. Mercoledì, in Consiglio dei Ministri, l’esecutivo ha infatti formalmente varato lo schema di decreto legislativo che esercita la delega al divieto della pubblicazione testuale delle ordinanze di custodia cautelare. Si parla, nello specifico, dell’emendamento presentato dal deputato di Azione Enrico Costa, inserito nella Legge di Delegazione Europea che, tra dicembre e febbraio, aveva già ottenuto il semaforo verde di Camera e Senato. Trattandosi appunto di una “delega”, il governo era chiamato a emanare l’atto normativo sulla base dei criteri e dei limiti stabiliti dal Parlamento. L’emendamento interviene sull’articolo 114 del codice di procedura penale, stabilendo l’impossibilità di «pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare».
Gli effetti dell’entrata in vigore della nuova norma avranno significative ripercussioni sul racconto delle inchieste da parte degli organi di informazione. Da quel momento, infatti, non sarà più possibile rendere pubbliche le ordinanze che dispongono misure cautelari, il carcere o gli arresti domiciliari nei confronti di persone che siano a rischio di recidiva o fuga. Sarà vietato riportare gli atti, integralmente o per estratto: il giornalista potrà redigere soltanto un breve riassunto, con un evidente rischio di distorsione dei fatti (e dunque, nonostante la misura sia sbandierata come “garantista”, anche di lesione del diritto di difesa). All’interno del comunicato diramato da Palazzo Chigi si legge che l’intervento normativo ha l’obiettivo di «rafforzare la presunzione di innocenza della persona indagata o imputata nell’ambito di un procedimento penale, in coerenza con quanto disposto dagli articoli 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343». Importante è sottolineare come le ordinanze di custodia cautelare siano provvedimenti emanati non dal pubblico ministero, bensì da un giudice, il gip, figura cui sono attribuite funzioni preordinate a garantire l’indagato nel corso delle indagini preliminari.
Lo schema del provvedimento sarà ora trasmesso alle Commissioni Giustizia di Camera e Senato, chiamate a esprimere un parere (non vincolante) entro sessanta giorni. Successivamente tornerà in Consiglio dei Ministri per l’approvazione definitiva. A votare l’emendamento in sede parlamentare sono state tutte le forze di maggioranza, ma anche Azione – di cui è appunto membro di spicco Costa – e Italia Viva, partiti che sulla giustizia non hanno sostanzialmente mai fatto mancare il loro sostegno al governo. La Federazione Nazionale della Stampa Italiana si mostra sul piede di guerra, parlando di «una brutta notizia per i giornalisti e ancor più brutta per i cittadini, che non potranno conoscere per mesi fatti di rilevante interesse pubblico» e di «un piacere ai potenti che vogliono l’oscurità e ai colletti bianchi». Già in seguito alla prima approvazione del testo a Montecitorio erano fioccate le proteste contro la legge. A dicembre, tutti i presidenti degli Ordini regionali dei giornalisti avevano sottoscritto una nota nella quale avevano chiesto di «non approvare il provvedimento», ritenuto «una legge bavaglio che lede il diritto dei cittadini ad essere informati».
Il divieto di pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare è solo l’ultimo tassello di una vera e propria offensiva lanciata dal governo Meloni al mondo dell’informazione. Basti pensare che, all’interno del DDL Nordio, che a luglio ha ottenuto il definitivo via libera dalla Camera dei Deputati, non si è solo stabilito che pm e giudici abbiano l’obbligo di stralciare dai brogliacci e dai loro provvedimenti ogni riferimento alle persone terze estranee alle indagini, ma anche che i media possano pubblicare soltanto le intercettazioni il cui contenuto venga «riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento». Ciononostante, la maggioranza non sembra intenzionata a fermarsi: ad aprile, la Commissione Giustizia del Senato ha dato l’ok alla proposta di legge del senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin attraverso cui si introduce il divieto delle intercettazioni oltre la durata di 45 giorni (a esclusione di quelle legate ai reati di criminalità organizzata e terrorismo). Il testo modifica infatti l’articolo 267 del codice di procedura penale, in base a cui le intercettazioni sono illimitatamente prorogabili dal gip su richiesta del pubblico ministero.
[di Stefano Baudino]
Ladri che fanno leggi a favore di ladri, dov’è la stranezza?
Naturalmente supportare le libertà richiede prima di educare al rispetto e alla civile convivenza senza eccezioni e questo richiede che tutti i servizi educativi per i giovani, tradizionalmente fatti dalla Chiesa che spesso non controlla i desideri carnali dei suoi preti, vengano considerati servizi essenziali e prioritari di Stato, Regioni e Comuni totalmente responsabili e monitorati.
La cosa corretta da fare non è opporsi alla singole leggi, ma opporsi al Fascismo e supportare le libertà ovunque.
Per questo occorre una opposizione non venduta alla CIA e non ricattabile dal Mossad, quindi persone senza scheletri nell’armadio e che non rubano di cui siamo pieni in Italia, ma che per stupide ragioni, non vengono considerate adatte per fare politica.