giovedì 21 Novembre 2024

A Ravenna è iniziato il primo (e controverso) progetto italiano di stoccaggio della CO2

Le multinazionali energetiche ENI e SNAM hanno annunciato di aver avviato l’attività di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica emessa dalla centrale di Casalboretti, nel comune di Ravenna. Il progetto prevede di captare almeno il 90% della CO2 prodotta dall’impianto – stimata in circa 25.000 tonnellate l’anno – e trasportarla fino alla piattaforma offshore Porto Corsini Mare Ovest, per poi depositarla in un giacimento di gas esaurito a 3.000 metri di profondità. In un comunicato stampa, ENI ha dichiarato che questo impegno è «coerente» con la sua volontà di porsi come «operatore che facilita una transizione energetica giusta ed equilibrata», aggiungendo che si tratta di «un contributo fondamentale per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050». Tuttavia, non si trova alcuna spiegazione riguardo alle più recenti evidenze scientifiche, che suggeriscono come l’effettivo impatto di questa strategia sul clima possa essere più limitato del previsto e, quindi, ancora oggetto di discussione.

Secondo il comunicato stampa rilasciato da ENI, il progetto starebbe garantendo un livello di abbattimento superiore al 90%, comportando una concentrazione di CO2 in uscita dal camino della centrale inferiore al 3%. Si tratta di performance che collocherebbero Ravenna CCS come «il primo progetto al mondo su scala industriale con tale efficienza di cattura», e al tutto bisognerebbe aggiungere il fatto che l’impianto utilizza energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili, evitando così ulteriori emissioni di anidride carbonica. «Un progetto di grande importanza per la decarbonizzazione è diventato realtà industriale. La cattura e lo stoccaggio della CO₂ è una pratica efficace, sicura e disponibile fin da ora per abbattere le emissioni delle industrie energivore le cui attività non sono elettrificabili», ha commentato Claudio Descalzi, Amministratore Delegato di ENI. Nei prossimi anni poi, è in progetto la Fase 2, la quale prevede lo sviluppo dell’impianto su scala industriale e la capacità di stoccare fino a 4 milioni di tonnellate entro il 2030 e altri progetti di ricerca e sviluppo per un possibile riutilizzo dell’anidride carbonica catturata.

Tuttavia, nel comunicato non si trovano alcune spiegazioni che risulterebbero tutt’altro che irrilevanti, vista la strategia scelta. Nonostante il nobile obiettivo di ridurre le emissioni industriali e contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico, infatti, lo stoccaggio della CO2 (CCS) è un metodo significativamente costoso da implementare – soprattutto per quanto riguarda i sistemi di cattura e di trasporto – e ciò potrebbe risultare un ostacolo ben più sgradevole di quanto ipotizzato, visto che secondo una recente ricerca scientifica la maggior parte delle politiche sul clima sono state inefficaci proprio a causa dell’assenza di interventi sui prezzi e di politiche fiscali. Inoltre, anche l’effettivo impatto della strategia è ancora in discussione, visto che esistono ricerche – come quella dell’Institute for Energy Economics and Financials Analysis – che riportano che la cattura e lo stoccaggio del carbonio «non è una soluzione per il clima», e altre che evidenziano come il loro uso sia molto meno efficiente del previsto. Infine, vi è l’interrogativo riguardante la sicurezza e la sostenibilità nel lungo termine, visto che esistono studi scientifici – tra cui alcuni condotti persino da autori appartenenti alle fondazioni della stessa ENI – che riportano come, anche con tassi di fuga bassissimi, la CO2 rilasciata potrebbe aumentare le emissioni globali di diverse gigatonnellate e come tali perdite, se non accuratamente monitorate, rappresentino costi economici ed ostacoli che potrebbero compromettere gli stessi obiettivi climatici perseguiti dai progetti. Tutte questioni ed interrogativi tutt’altro che irrilevanti quindi, dai quali però il comunicato stampa della multinazionale mantiene le distanze.

[di Roberto Demaio]

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