giovedì 12 Settembre 2024

L’odissea di Mansour Doghmosh, attivista palestinese detenuto in Italia per conto di Israele

Sei mesi di carcere, poi l’udienza del Riesame: il giudice ordina la scarcerazione immediata ma invece di riacquistare la libertà viene trasferito in un CPR (Centro di Permanenza e Rimpatrio), dove potrebbe rimanere detenuto per un altro anno. È la storia di Mansour Doghmosh, uno dei tre palestinesi arrestati a marzo con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo internazionale (270bis) dalla polizia all’Aquila. Accusati di pianificare atti di terrorismo contro Israele in Cisgiordania, Ali Irar e Mansour Doghmosh si erano già visti annullare la richiesta del mandato di cattura a luglio. La Cassazione aveva però rimandato l’ultima decisione per la loro liberazione allo stesso Tribunale del Riesame dell’Aquila, che si è espresso dopo altri due mesi di prigionia ordinandone l’immediata scarcerazione. Mansour tuttavia non viene lasciato in libertà: dopo l’udienza, viene trasferito nel CPR di Ponte Galeria, la prigione per stranieri senza documenti alle porte di Roma dove a febbraio è stato trovato morto Ousmane Sylla. Per Anaan Yanesh, invece, è stata confermata la misura della detenzione in carcere.

«Per il momento non si parla di rimpatrio» dice a LIndipendente l’avvocato nominato per la detenzione al CPR di Mansour, che preferisce mantenere l’anonimato. «Si tratta di una detenzione amministrativa, che non è preordinata al rimpatrio. L’obbiettivo dell’amministrazione è dichiaratamente quello di rifiutargli la protezione internazionale, e quindi renderlo anche espellibile, ma in questo momento ancora non stiamo parlando di questo». Il passaggio diretto da carcere a CPR non è una novità procedurale: succede spesso che, scontata la pena, i neo ex-detenuti immigrati vengano spediti ancora qualche mese dietro le mura di un centro per i rimpatri, a volte per essere espulsi verso il Paese di origine, ma più spesso per scontare quella che sembra essere una sorta di seconda pena. La vicenda di Mansour non è molto diversa. Anzi.

Mansour Doghmosh era stato accusato dal GIP, insieme ad Anan Yaeesh e Ali Irar, di aver instaurato una collaborazione con il gruppo di risposta rapida Brigate Tulkarem, parte delle Brigate dei martiri di Al-Aqsa, organizzazione che l’UE riconosce come terroristica. In seguito a una sentenza del tribunale di riesame dell’Aquila, i tre si sono salvati dall’estradizione per i concreti rischi di «trattamenti disumani» a cui sarebbero andati incontro in Israele, ma allo stesso tempo sono state confermate loro le misure cautelari promosse dal GIP – revocate ad Ali Irar e Mansour Doghmosh lo scorso 9 settembre.

«Questo caso è particolarmente eclatante, perché la persona viene scarcerata proprio perché non ci sono i presupposti per la detenzione», continua l’avvocato. «È quindi sorprendente che per un giudice penale questa persona non debba essere incarcerata e neanche sottoposta ad altra misura di controllo, ma per la polizia invece la sua libertà debba essere limitata. Purtroppo la legge lo prevede, almeno in astratto». La detenzione cautelare in carcere e la detenzione amministrativa in un CPR appartengono infatti a sfere di potere diverse: il carcere viene disposto da un giudice penale, il CPR è uno dei tasselli della detenzione amministrativa, che fa riferimento al ministero degli Interni. Il trasferimento in un CPR di Mansour è stato dunque disposto dalla questura, non da un rappresentante del potere giuridico. «Il trattenimento nei CPR è previsto sia per le persone che devono essere rimpatriate, sia per i richiedenti asilo, che quindi non possono essere rimpatriati ma, per motivi di controllo – perchè si ritiene vi sia rischio di fuga o che rappresentino un pericolo per la sicurezza dello Stato – possono essere trattenute. Questo lo prevede la legge e la questura ha disposto il trattenimento di Mansour affermando che questa persona possa essere pericolosa perché è sottoposta a un procedimento penale ancora in corso».

Dopo sei mesi di prigione preventiva, ora il giovane palestinese, padre di tre figli, rischia fino a un anno di CPR, tempo massimo di detenzione in questi centri per i soggetti ritenuti «pericolosi». Questo nonostante i CPR siano da tempo finiti al centro dell’attenzione di istituzioni e organizzazioni per la tutela dei diritti umani, alla luce delle numerose inchieste che hanno mostrato i soprusi che avvengono all’interno, l’impiego coercitivo di farmaci e le torture cui vengono sottoposti i migranti rinchiusi in questi centri. «Probabilmente venerdì si terrà l’udienza in Tribunale, dove la difesa potrà esprimersi contro la richiesta della questura. Questo è il prossimo passo» riferisce l’avvocato. Intanto, comitati per la Palestina stanno iniziando a mobilitarsi per chiedere la libertà immediata di Mansour. Il tutto mentre Anaan Yaeesh, il 37enne palestinese originario di Tulkarem che il governo italiano avrebbe lasciato estradare in Israele, si trova ancora detenuto nel carcere di massima sicurezza di Terni.

[di Monica Cillerai]

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