Come al solito, i nativi d’America sono i grandi esclusi della campagna elettorale. Sebbene tutte le minoranze etniche debbano affrontare gravi problemi sociali, economici e politici, le popolazioni indigene sembrano quasi non esistere. E così sta accadendo anche in vista delle elezioni che il prossimo 5 novembre decideranno il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America. Tre leader tribali hanno scritto una lettera aperta, rivolta ai candidati alla presidenza e ai media, chiedendo che i diritti dei nativi facciano parte del dibattito presidenziale. Le questioni sono le stesse di sempre, ancora in attesa di essere risolte: la sovranità tribale e i diritti dei popoli indigeni; il mancato rispetto di trattati e atti firmati lungo il corso della storia tra le tribù e il governo federale; i bisogni critici riguardanti la salute, l’istruzione e i diritti sociali.
Brenda Meade, Presidente della tribù Coquille, Marshall Pierite, Presidente della tribù Tunica-Biloxi, e Brad Kneaper, Presidente delle tribù confederate Coos, Lower Umpqua e Siuslaw, hanno scritto una lettera aperta rivolta ai politici e ai media per richiamare l’attenzione su chi sembra del tutto dimenticato nei dibattiti e nei programmi elettorali della campagna per la prossima presidenza statunitense, che vede contrapposti Kamala Harris e Donald Trump. I tre leader tribali hanno sottolineato che milioni di cittadini statunitensi sono anche cittadini tribali, alle prese con secoli di politiche disastrose progettate per sradicare il loro stile di vita, la loro cultura, la loro lingua e ogni altro aspetto che riguarda le loro comunità. «Facciamo parte del tessuto dell’America, ma la lotta per il riconoscimento e il rispetto è in corso, con nuove battaglie per la sovranità tribale che si svolgono nella Corte Suprema, nel Congresso e nelle camere statali di tutto il paese. […] Siamo insegnanti, medici, avvocati e imprenditori. Abbiamo raggiunto posizioni di rilievo nel governo e siamo governatori, segretari di gabinetto e membri del Congresso. Abbiamo famiglie il cui futuro dobbiamo proteggere», hanno scritto i tre leader.
Nella lettera viene citata la sovranità tribale, che offre un rapporto unico tra le nazioni tribali e il governo degli Stati Uniti, rappresentando un terzo livello legislativo e giuridico nell’ordinamento statunitense, al di sotto del controllo federale e statale ma con proprie prerogative, che troppo spesso non vengono rispettate o vengono del tutto ignorate. Un esempio recente e noto è la questione del Dakota Access Pipeline (DAPL), trattata approfonditamente sulle colonne de L’Indipendente. Come non mancano altri esempi di mancato rispetto delle regole nella storia recente, specie in ambito estrattivo, con il governo federale e le aziende private che violano sistematicamente i diritti e la sovranità tribale ogni volta che sui loro territori vengono scoperti giacimenti minerari o di idrocarburi. In un disprezzo dei diritti delle popolazioni indigene che assume i contorni di quello che viene definito razzismo ambientale.
I leader tribali chiedono ai candidati di esprimersi pubblicamente su quattro questioni principali: il rispetto degli atti e dei trattati firmati tra le tribù e il Congresso degli Stati Uniti, che non possono essere rinnegati unilateralmente o violati tramite sotterfugi, come l’adozione dell’etichetta “sicurezza nazionale”; il potere delle lobby e la loro dirompente influenza politica, che limita i diritti dei popoli indigeni e la loro sovranità tribale; la necessità di elaborare una collaborazione tra tribù e potere centrale per soddisfare le necessità di base dei cittadini indigeni, a cominciare da salute, assistenza agli anziani, istruzioni, alloggi e problemi di dipendenza da droghe e alcol; la protezione delle risorse naturali e delle terre tribali a beneficio delle generazioni future.
[di Michele Manfrin]