sabato 14 Settembre 2024

Tutte le strette repressive contenute nel nuovo Ddl Sicurezza approvato in Parlamento

La svolta repressiva del governo Meloni è quasi realtà. Negli ultimi giorni, infatti, si è svolta alla Camera dei Deputati la discussione generale sul Ddl Sicurezza, che ha visto l’approvazione di una serie di provvedimenti che aprono a un forte inasprimento delle pene e alla più smaccata criminalizzazione del dissenso. È stata introdotta la norma che prevede il carcere se due o più persone protestano bloccando il traffico o intralciano la circolazione sui binari di una ferrovia, così come un’aggravante per i reati commessi in stazioni ferroviarie e delle metropolitane. Inasprite anche le pene per chi occupa abusivamente le abitazioni, che ora rischia fino a 7 anni di reclusione. È poi passata la norma che rende facoltativo, e non più obbligatorio, il rinvio della pena per le donne gravide e le madri con i figli al di sotto dell’anno di età, così come la stretta sulla cannabis light, che produrrà il blocco dell’intera filiera della canapa. In Aula sono andate in scena vibranti proteste da parte delle opposizioni, ma il governo ha avuto vita facile. Il Ddl Sicurezza passerà ora al Senato per l’approvazione definitiva.

Ma andiamo con ordine. La Camera ha detto sì all’art.11 del “Pacchetto Sicurezza”, che introduce la pena del carcere da sei mesi a due anni per i blocchi stradali e ferroviari, colpendo «chiunque impedisce la libera circolazione su strada ordinaria o ferrata, ostruendo la stessa con il proprio corpo», quando il fatto «è commesso da più persone riunite». Fino ad ora, tali condotte venivano inquadrate come semplici illeciti amministrativi, per i quali veniva comminata una sanzione da mille a quattromila euro. Se questa misura – infliggendo un duro colpo al diritto alla protesta pacifica – sarà definitivamente approvata, vedrà invece la luce la previsione di una vera e propria pena detentiva, rispetto a cui non è stata contemplata l’alternativa della pena pecuniaria. Un altro articolo introduce un’aggravante – giudicata dalle opposizioni «ideologica e priva di coerenza», poiché introdurrebbe una illogica disparità di trattamento – per i reati commessi «all’interno o nelle immediate adiacenze delle stazioni ferroviarie e delle metropolitane o all’interno dei convogli adibiti al trasporto di passeggeri». Con l’approvazione dell’articolo 10, si introduce invece il reato penale di “occupazione arbitraria di un immobile destinato a domicilio altrui”, che fino a oggi costituiva un reato civile. La nuova norma prevede dai 2 ai 7 anni di carcere per chi «mediante violenza o minaccia, occupa o detiene senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui o sue pertinenze, ovvero impedisce il rientro nel medesimo immobile del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente», consentendo alle forze dell’ordine – su indicazione del giudice – di procedere rapidamente allo sgombero.

Lo spettro di intervento del Ddl Sicurezza è però ancora più largo. Tra le misure che hanno ottenuto il via libera, vi è l’articolo che vieta la coltivazione e la vendita della cannabis light, proibendo il commercio, la lavorazione e l’esportazione di foglie, infiorescenze e di tutti i prodotti che contengono sostanze derivate dalla pianta di canapa. Una modifica che, al contrario di quanto ha raccontato la maggior parte del mainstream mediatico, non costituisce solo un divieto della cannabis light, avendo invece portata molto più ampia, poiché renderà di fatto illegale tutta la produzione di canapa industriale (mettendo dunque a repentaglio migliaia di posti di lavoro). Ma non è tutto: con l’ok all’art. 15, è stato reso facoltativo e non più obbligatorio il rinvio della pena per le donne in gravidanza e le madri con figli sotto l’anno. La nuova formulazione lascia al giudice il potere di valutare caso per caso se applicare o meno la detenzione, che avrà luogo negli Icam-Istituti a custodia attenuata per detenute madri. Nelle ultime settimane, un forte allarme sui contenuti del provvedimento è arrivato anche dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), aderiscono i governi di 57 Paesi, che ha denunciato come «la maggior parte delle disposizioni» del Ddl abbia «il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello Stato di diritto».

[di Stefano Baudino]

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