Il Consiglio regionale della Toscana ha approvato all’unanimità una mozione che prevede l’obbligo di corrispondere un salario minimo di nove euro l’ora a tutte le aziende che operano in appalti commissionati dalla Regione. La mozione, presentata dal Movimento 5 Stelle, prevede anche controlli per verificare il rispetto del salario minimo. In precedenza, alcuni Comuni avevano approvato mozioni analoghe per gli appalti comunali (tra questi Napoli, Milano, Firenze e Livorno), ma la Toscana è la prima Regione italiana ad approvare un salario minimo valido in tutto il territorio regionale. Il salario minimo potrà essere imposto solo per i lavori commissionati dalla Regione stessa e dai suoi Enti, mentre per gli altri lavoratori sarebbe necessaria una legge nazionale. Tuttavia, al momento, il governo Meloni non sembra intenzionato a procedere in questa direzione.
L’aula di palazzo del Pegaso ha dato il via libera all’unanimità la mozione “In merito alla tutela della retribuzione minima in tutti i contratti di appalto di opere e servizi della Regione Toscana”. Hanno espresso infatti voto favorevole al testo tutti i 25 consiglieri presenti, appartenenti ai gruppi di Italia Viva, Fratelli d’Italia, Lega, Movimento 5 Stelle e Partito democratico. La misura ha la finalità di contrastare il fenomeno dei contratti al ribasso e di tutelare i diritti dei lavoratori, come stabilito dalla Direttiva UE 2022/2041 e dalla Costituzione italiana. Nello specifico, la mozione prevede l’obbligo, per tutte le gare d’appalto regionali, di applicare il contratto collettivo maggiormente rappresentativo per l’attività svolta. Così, ove le imprese appaltatrici proponessero contratti differenti, l’amministrazione regionale potrà effettuare una comparazione delle tutele economiche e normative sulla base dei parametri fissati dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC). A muoversi in questa direzione sono stati, negli ultimi mesi, diversi Comuni Italiani. Già alla fine del 2023, il Consiglio Comunale di Livorno aveva dato l’ok a larga maggioranza a una mozione attraverso cui si è stabilito che tutti i lavoratori del Comune toscano possano contare su un salario minimo di almeno 9 euro l’ora e che, all’interno di ogni appalto del Comune, sia d’ora in avanti presente una clausola che preveda il salario minimo per tutti i lavoratori che vengano in essi impiegati. Sulla stessa scia si è posta Firenze, che a marzo ha approvato il salario minimo di 9 euro all’ora per tutti gli appalti del comune, così come hanno fatto successivamente Milano e Napoli.
A livello nazionale, si assiste invece a tutt’altro scenario. A fine novembre 2023, la maggioranza aveva definitivamente affossato alla Camera la proposta unitaria dei partiti di opposizione di introduzione del salario minimo fissato a 9 euro l’ora. Il mese precedente, in seguito all’incarico ricevuto dall’esecutivo, il CNEL – presieduto dall’ex forzista Renato Brunetta – aveva elaborato e trasmesso al governo la valutazione finale sul lavoro povero e sull’eventuale introduzione del “salario minimo legale”, che era stata bocciata. Lo stesso Brunetta aveva dichiarato che, per fronteggiare la povertà lavorativa, la strada migliore da seguire non fosse quella del salario minimo, bensì il rafforzamento della contrattazione collettiva, ovvero il rapporto tra sigle sindacali e associazioni dei datori di lavoro. Forti critiche erano state indirizzate a una decisione da molti ritenuta “politica”, specie in relazione ai calcoli effettuati dal CNEL sulle paghe medie della contrattazione collettiva, sul mancato inserimento nei contratti “pirata” degli accordi siglati da Cisal e Confsal, nonché sull’utilizzo da parte dell’ente dei dati Uniemens, che “falserebbero” le statistiche sulla copertura effettiva dei contratti collettivi.
[di Stefano Baudino]