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Alluvione in Romagna: cosa dicono i dati sul rimpallo di colpe tra Governo e Regione

Da una parte il Governo, che accusa la Regione di non aver speso bene i soldi messi a disposizione. Dall’altra la Regione che dice che gran parte di quei soldi non sono mai arrivati. Questo in sintesi il rimpallo di responsabilità messo in scena tra Roma ed Emilia-Romagna sull’alluvione dei giorni scorsi, la terza in 16 mesi, che ha nuovamente colpito le province di Bologna, Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini. «Se ogni volta che piove in Emilia-Romagna succede il finimondo è chiaro che qualcosa non torna» ha detto [1]il ministro alla protezione civile Musumeci in conferenza stampa, aggiungendo che «non tutto il denaro messo a disposizione è stato speso, perché dall’altra parte non c’è stata la pianificazione di chi doveva intervenire». Dichiarazioni che hanno immediatamente scatenato la dura reazione delle autorità locali e dei rappresentanti del Partito Democratico, visto che l’Emilia-Romagna è da sempre guidata dal centrosinistra.

I soldi sono stati erogati oppure no?

Operazioni di assistenza alla popolazione in seguito all’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna nel 2023.

I numeri schietti danno parzialmente ragione alla Regione. Nel giugno 2023, un mese dopo l’alluvione di maggio, era stata presentata una lista dei danni al governo: 8,3 miliardi di euro, di cui 4,3 per ripristinare gli argini dei fiumi e liberare le strade dalle frane. Fino ad ora i fondi stanziati sono stati molto meno: 3,8 miliardi di cui 2.5 per la messa in sicurezza del territorio. Di questi però solo 1,6 miliardi sono già stati distribuiti a Comuni, protezione civile e consorzi di bonifica per far partire i lavori.

Sul sito della Regione si può consultare [2] la mappa dei cantieri: 955 in tutto. Di questi, tuttavia, solo 290 sono stati conclusi, 271 sono in corso mentre 394 devono essere ancora avviati. A Faenza la costruzione di un muro lungo l’argine del Lamone, all’altezza di via Renaccio, ha salvato il quartiere da una nuova inondazione. Sull’altra sponda del fiume, invece, i lavori non erano ancora partiti. Il Comune ha messo in piedi un muro di fortuna mentre stava arrivando la nuova piena, ma la struttura non ha retto e via Cimatti si è allagata per la terza volta in 16 mesi.

C’è poi un piano speciale per la ricostruzione [3], che riguarda un fronte molto più ampio rispetto alla gestione immediata dell’emergenza: quello della messa in sicurezza di tutto il territorio dalle minacce causate dagli eventi climatici estremi. Il piano, dal costo di 4.5 miliardi,  punta al miglioramento del deflusso dei corsi d’acqua, alla creazione di casse di laminazione e alla gestione delle piene ed è stato presentato dalla Regione il 3 luglio 2024. Tuttavia da allora, come ha spiegato lo stesso Musumeci, giace sul tavolo del Ministero dell’Ambiente che lo deve ancora approvare.

Ci sono poi 1,2 miliardi di fondi del PNRR, annunciati in pompa magna dalla premier Meloni assieme a Ursula Von der Leyen il 17 gennaio scorso in visita a Forlì, che però non possono essere ancora utilizzati perché mancano i decreti attuativi.

Insomma, i soldi ci sono ma fanno fatica ad arrivare a destinazione. È una dinamica che in Romagna è ormai tristemente nota come “strategia dell’imbuto”. I soldi vengono messi in un grande contenitore da cui, però, escono solo a piccole gocce. Ne sanno qualcosa i cittadini alluvionati, che da mesi aspettano i rimborsi al 100% promessi dal governo: 1,3 miliardi di euro stanziati, a fronte dei quali sono arrivati a destinazione fino ad ora solo poche decine di milioni.

Caso emblematico è quello del fondo Agricat. Il governo aveva destinato 50 milioni agli agricoltori colpiti dall’alluvione, un anno dopo i contadini che avevano fatto domanda si sono visti recapitare rimborsi da 13 euro, mentre la maggior parte delle richieste non sono state nemmeno accolte. Poche settimane dopo il governo ha annunciato che si dovrà ripartire da capo, rivedendo tutti i parametri con cui venivano distribuiti gli aiuti, che nel frattempo restano ancora bloccati.

Il commissario che in Romagna non si vede mai

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Il Commissario Figliuolo in una delle rare apparizioni nelle zone alluvionate (foto di Teleromagna)

Snodo centrale tra Roma e la Regione è il Commissario Francesco Paolo Figliuolo, già deus ex machina durante l’emergenza Covid e nominato commissario straordinario per l’alluvione in Romagna a giugno 2023, dopo un lungo tira e molla tra Governo e istituzioni regionali, che avrebbero voluto Bonaccini al suo posto. È lui che, attraverso i decreti attuativi, distribuisce i fondi per aprire i cantieri e per rimborsare i cittadini. I suoi poteri sono molto ampi, come determinato dal comma 7 dell’art. 2 del decreto legge n.88 del 5 luglio 2023 [5], tra questi: “definire la programmazione delle risorse finanziarie; coordinare gli interventi di ricostruzione, di ripristino e di riparazione di tutti gli immobili (pubblici, privati, produttivi, infrastrutturali e artistici); gestire la contabilità speciale appositamente aperta”. Così come discreto è anche il compenso percepito, fissato nella sua lettera d’incarico [6] al “massimo previsto dall’articolo 15, comma 3 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98”: ovvero 50.000 euro l’anno di parte fissa più altrettanti di bonus per il raggiungimento degli obiettivi (che vengono valutati direttamente dalla Presidenza del Consiglio). 

Nel corso del suo mandato, che tra l’altro scade a dicembre, gli è stata più volte rimproverata una scarsa presenza nel territorio. Figliuolo infatti ha il suo ufficio a Roma, dove assieme al suo staff coordina i lavori in smart working limitandosi a visite sporadiche che assomigliano più a delle passerelle che a delle ricognizioni, con i giornalisti invitati a scattare foto ma non a fare domande.

«Ho scritto al generale mettendogli a disposizione un ufficio con tutti gli strumenti che gli servono» ha dichiarato pochi giorni fa il sindaco di Faenza Massimo Isola «Ebbene, niente da fare» Non ci sono però solo i soldi da fare arrivare a destinazione, ci sono anche i lavori da progettare per far partire i cantieri. Molti Comuni, soprattutto quelli più piccoli, non hanno il personale tecnico necessario per una mole di lavoro così ingente. Per questo molti interventi sono stati appaltati a Sogesid, società di ingegneria che fa capo allo Stato. Ad oggi però è stato attivato un solo cantiere, nel Comune di Modigliana, che è finito di nuovo sott’acqua dopo le piogge dei giorni scorsi.

Le colpe della Regione Emilia-Romagna

Il dissesto idrogeologico, tuttavia, non si combatte solo rinforzando gli argini o pulendo i letti dei fiumi. Serve ridare spazio all’acqua, visto che i bacini non sono in grado di gestire le piogge torrenziali scatenate dal cambiamento climatico. Su questo la Regione Emilia-Romagna non è certo esente da colpe. L’ultimo rapporto di Ispra [7] certifica come l’Emilia-Romagna sia la quarta regione italiana per consumo di suolo. Nel 2022 sono stati consumati 19,4 ettari al giorno, il dato più alto dal 2012, con buona pace del piano urbanistico a consumo zero sbandierato più volte dall’ormai ex presidente Stefano Bonaccini. 

«L’attuale modello ha sfruttato il suolo, costretto i fiumi e costruito edifici in maniera eccessiva – ha ribadito a il Manifesto il metereologo di Arpae Emilia-Romagna Federico Grazzini – bisognerebbe fare l’esatto contrario: smettere di urbanizzare. Non si può tornare indietro con la bacchetta magica, ma occorre una grande opera di visione a lungo termine. Ci vorrà tempo»

Ricostruzione, messa in sicurezza degli argini, controllo dei fiumi, stop alla cementificazione ma anche aiuto immediato alla popolazione che si trova alle prese per la terza volta in pochi mesi con i danni causati dagli eventi climatici estremi. Tutte scadenze impellenti che non riguardano solo l’Emilia-Romagna ma tutto il paese. Politica e istituzioni sembrano però interessate in modo molto maggiore a un’altra scadenza: quella del 17 e 18 novembre, data delle prossime elezioni regionali in Emilia-Romagna.

[di Fulvio Zappatore]