lunedì 18 Novembre 2024

I primi sette gruppi bancari italiani hanno raddoppiato gli utili in due anni

Nel primo semestre del 2023, le sette principali banche italiane (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Bper, Mps, Credem e Popolare di Sondrio) hanno registrato profitti raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2022, secondo quanto riportato nell’ultimo rapporto dell’Ufficio Studi e Ricerche FISAC CGIL. L’esponenziale incremento dei guadagni è stato trainato dagli alti tassi di interesse, che hanno contribuito a un aumento dei ricavi del 74,6%. Sono cresciuti, anche se di molto meno (+2,1% rispetto al 2022), i ricavi da commissioni, così come le attività assicurative (+10% rispetto al 2022). Complessivamente, l’utile netto è aumentato del 30% in due anni. Anche per questo motivo, si continua a discutere della tassa sugli extra-profitti, su cui però i tre partiti di maggioranza continuano a esprimere una netta chiusura: «Abbiamo sempre detto no alle tasse imposte dall’alto», ha affermato recentemente il Ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, che propone che il governo si limiti a chiedere alle banche un improbabile aiuto volontario.

“Lascia o Raddoppia? Come i gruppi bancari hanno raddoppiato gli utili in meno di due anni”. È questo l’autoesplicativo titolo del più recente rapporto di FISAC CGIL, in cui il sindacato mette a confronto gli ultimi risultati semestrali dei primi 7 gruppi bancari del Paese con quelli che si registravano nello stesso periodo del 2022. Secondo lo studio, pubblicato venerdì 20 settembre, la principale voce di guadagno a registrare un incremento sarebbe stata quella relativa ai ricavi sui tassi di interesse, con una crescita del 74,6% (pari a oltre 8 miliardi di euro). In generale, sono aumentati quasi tutti i ricavi operativi: +2,1% anche per i ricavi sulle commissioni (oltre mezzo milione), +10,4% per le attività assicurative (100 milioni in più), e +32,3% per gli altri ricavi operativi (+150 milioni); dimezzato, invece, il risultato della compravendita delle attività finanziarie detenute (circa 1,2 miliardi in meno); «già a questo livello del conto economico i proventi netti sono in aumento di più del 30% sul 2022». L’utile netto, invece è cresciuto del 93,1% in due anni, portando oltre 6 miliardi in più nelle casse degli istituti finanziari.

Secondo la segretaria generale di FISAC CGIL, Susy Esposito, questi «numeri da record» devono concretizzarsi in «un investimento forte sul fronte dell’occupazione», e dell’innovazione tecnologica. Se infatti l’Italia rimane fanalino di coda dell’UE per livelli di occupazione, reddito reale, e innovazione, le banche del Paese, a fronte di simili aumenti sui ricavi, continuano ad avere spese contenute: negli ultimi due anni, la componente dei costi ha visto un incremento pari al 3,5% per quanto riguarda il personale (circa 300 milioni), e dell’1,8% per gli altri costi operativi (100 milioni), che comprendono, appunto,  «investimenti in innovazione e tecnologia». Per gli stessi motivi, il segretario generale della UIL, PierPaolo Bombardieri, insiste invece sull’introduzione di una tassa sugli extra-profitti: «Da tempo chiediamo l’extra tassa sugli extraprofitti, perché negli ultimi anni ci sono stati settori produttivi che hanno avuto grandi profitti e non in conseguenza della loro normale attività, ma per eventi eccezionali». Il governo, dal canto suo, continua a bocciare l’idea di una reale tassa sull’eccedenza di guadagno degli istituti finanziari. In una intervista condivisa dallo stesso Ministero degli Esteri, Tajani rigetta l’idea rapidamente, rimanendo aperto però alla possibilità che gli istituti di credito forniscano «un aiuto, un contributo alle casse dello Stato», certo, solo «se poi questo stesso aiuto si può concordare con le banche»; insomma, su loro gentile concessione.

[di Dario Lucisano]

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