Negli Stati Uniti è cominciato martedì notte uno dei più grossi scioperi dei lavoratori portuali della costa est dal 1977. Lo sciopero potrebbe coinvolgere decine di migliaia di lavoratori secondo la United States Maritime Alliance (USMX, l’organizzazione che rappresenta i datori di lavoro del settore portuale) ed è stato indetto dal sindacato del settore (l’International Longshoremen’s Association, ILA) in seguito allo stallo nei negoziati per il rinnovo del contratto, scaduto il 30 settembre scorso. Il sindacato, che rappresenta 45.000 lavoratori portuali, oltre a un aumento degli stipendi, chiede il divieto di usare mezzi automatizzati durante le operazioni di carico e scarico, nel timore che un’eccessiva automazione possa portare a licenziamenti. L’interruzione dal lavoro potrebbe durare fino a due o tre settimane coinvolgendo decine di porti della costa est sull’Atlantico e di quella che dà sul Golfo del Messico. Si tratta di porti da cui passano i tre quinti dei container che transitano dagli Stati Uniti e per questo, secondo le stime degli analisti di JP Morgan, uno sciopero costerebbe all’economia statunitense circa cinque miliardi di dollari al giorno. Le spedizioni di cibo, beni al dettaglio e altri prodotti verrebbero interrotte dai terminal più trafficati, tra cui New York, Baltimora e Houston.
Secondo il sindacato ILA l’inflazione degli ultimi anni ha eroso notevolmente il potere di acquisto dei lavoratori, mentre le compagnie per il trasporto delle merci (alcune delle quali sono grandi multinazionali) hanno ottenuto extraprofitti durante la pandemia di Covid 19, quando i prezzi delle spedizioni hanno subito un’impennata, e nella ripresa dei commerci tra il 2021 e il 2022. Sulla base di ciò, il sindacato ha chiesto un aumento dei salari fino al 77% rispetto al livello attuale, aumentando la retribuzione di cinque euro l’ora ogni anno nei sei anni di durata del nuovo contratto. Ciò significa che, se oggi lo stipendio è di 39 dollari all’ora, nel 2029 dovrà arrivare a 69 dollari. Allo stesso tempo, il sindacato ha rifiutato la proposta di USMX di un aumento del 50%.
Se tutti i membri del sindacato interrompessero il lavoro, sarebbe il primo sciopero dell’ILA su scala costiera dal 1977 e, secondo Rick Cotton, capo dell’Autorità portuale di New York e New Jersey, 100.000 container rimarrebbero fermi, mentre 35 navi cargo che dovrebbero attraccare la prossima settimana dovranno rimanere ancorate a largo. Sebbene alcuni esperti ritengano che lo sciopero non avrà grosse conseguenze a lungo termine, la presidente della Camera di commercio degli Stati Uniti, Suzanne Clark, ha esortato il presidente Joe Biden a usare la sua autorità per impedire uno sciopero di 80 giorni, affermando che «sarebbe incosciente consentire che una controversia contrattuale infligga un tale shock alla nostra economia». Biden ha però fatto sapere di non volere usare i suoi poteri per interrompere lo sciopero, non prendendo quindi in considerazione l’utilizzo del Taft-Hartley Act federale che imporrebbe ai lavoratori di tornare al lavoro mentre proseguono le trattative. Tuttavia, uno sciopero che potrebbe bloccare il flusso di merci, mettendo potenzialmente a repentaglio posti di lavoro, a poche settimane dalle elezioni rischia di peggiorare la fiducia nell’amministrazione Biden. D’altro canto, prendendo le parti dei lavoratori, Biden spera di far guadagnare migliaia di voti alla candidata democratica Kamala Harris, non senza rischiare però una paralisi delle attività economiche statunitensi se il blocco dovesse prolungarsi eccessivamente.
Non si tratta del primo grande sciopero che si svolge negli Stati Uniti: gli USA, infatti, nell’ultimo periodo sono stati attraversati da una serie di proteste per i salari che hanno spesso visto la vittoria dei lavoratori: un anno fa, ad esempio, è andato in scena il più grande sciopero di sempre del settore automobilistico che ha coinvolto i tre colossi dell’auto General Motors, Ford e Stellantis che, da soli, rappresentano il 40% delle vendite di automobili negli Usa. Anche in questo caso, le richieste dei lavoratori in protesta riguardavano l’adeguamento della condizione salariale all’impennata dei costi e il reintegro di una serie di diritti persi tra il 2007 e il 2009. Questi scioperi riflettono il malcontento dei lavoratori americani in un periodo in cui l’inflazione ha peggiorato le condizioni economiche della maggior parte dei cittadini americani, portando ad un fermento per la lotta per i diritti sul lavoro che è tradizionalmente più tipica della cultura europea che non di quella americana.
Nonostante la scarsa risonanza data alla notizia dalla stampa italiana, lo sciopero potrebbe avere ripercussioni a catena sull’intera economia americana. Il CEO della National Association of Manufacturers Jay Timmons ha affermato che uno sciopero prolungato getterebbe nel caos le catene di fornitura manifatturiere in tutti gli Stati Uniti. «Miliardi di dollari di beni, dal cibo ai veicoli all’elettronica, dipendono dall’accesso ai porti della costa orientale e del Golfo», ha affermato Timmons. Non stupisce, dunque, che il capo dello staff della Casa Bianca Jeff Zients e il principale consigliere economico Lael Brainard abbiano esortato i membri del consiglio direttivo dell’USMX in una riunione di lunedì a risolvere la controversia «in modo equo e rapido» al fine di salvaguardare l’economia americana, la cui crisi potrebbe compromettere anche i mercati europei e asiatici.
[di Giorgia Audiello]