mercoledì 2 Ottobre 2024

Mangiare animali: il dubbio etico che tormentava Seneca e Tolstoj è ancora irrisolto

Nell’immaginario comune gli insetti sono considerati forme di vita prive di qualunque sensibilità. La morte di un insetto difficilmente ci turba, anche l’uomo più sensibile non ha alcuna esitazione nello schiacciare uno scarafaggio, eppure le ultime ricerche scientifiche hanno dimostrato come anche queste forme di vita elementari sono senzienti. Le api, per esempio, sarebbero in grado di contare, le mosche sono in grado di percepire il tempo e il suo trascorrere, le formiche, instancabili e tenaci, soccorrono i loro compagni in difficoltà. Lars Chittka, professore di ecologia comportamentale, ha dimostrato come le api conoscano il senso del gioco e del piacere e sperimentino una sensazione simile alla gioia.

«Abbiamo collegato una colonia di bombi a un’area dotata di palline mobili da un lato e a un’area di palline immobili dall’altro. Nel mezzo c’era un percorso libero che conduceva a una zona di alimentazione contenente soluzione zuccherina e polline. Ebbene, le api sono tornate molte volte e sono rimaste per prolungati periodi di tempo nell’area di gioco dove potevano fare rotolare le palline mobili, anche se nelle vicinanze veniva fornito cibo in abbondanza. Sembrava, insomma, esserci qualcosa di intrinsecamente piacevole nell’attività stessa».

Se le api conoscono una sensazione assimilabile al piacere, allo stesso modo percepiscono il dolore. Gli insetti provano sofferenza, possiedono meccanismi di regolazione della nocicezione che sono ciò che regola la percezione del dolore nel sistema nervoso umano. Un team di ricercatori australiani dell’Università di Sidney ha studiato la percezione del dolore cronico in una delle forme di vita più elementari di tutte: il moscerino della frutta. Ebbene dopo aver danneggiato il nervo di una gamba di un moscerino della frutta, l’animale ha sviluppato una ipersensibilità in quel punto, come accade nei pazienti affetti da dolore cronico. Se organismi semplici come gli insetti percepiscono la paura e il dolore, forme di vita più complesse come i volatili e i mammiferi hanno un complesso sistema emozionale assimilabile in tutto e per tutto a quello umano. I cani sanno cos’è la gioia e l’attaccamento, provano affetto, paura, rabbia, nervosismo, sono in grado di sviluppare un legame emotivo persistente e duraturo con gli esseri umani. Chiunque abbia vissuto con un cane o abbia avuto un animale domestico ne è consapevole. Eppure il rapporto simbiotico sviluppato tra l’uomo e il cane o il gatto (o il cavallo) non si è mai esteso ad altre forme di vita animale.

Un team di ricercatori australiani dell’Università di Sidney ha studiato la percezione del dolore cronico nel moscerino della frutta: dopo aver danneggiato il nervo di una gamba di un moscerino della frutta, l’animale ha sviluppato una ipersensibilità in quel punto

Fin dagli albori della civiltà l’uomo non ha potuto non domandarsi se fosse etico uccidere e macellare esseri senzienti. Gli animali soffrono? Provano dolore? Sono in grado di pensare? Provano emozioni assimilabili a quelle umane? Queste non sono semplici domande filosofiche e non investono soltanto il nostro rapporto con gli animali, ma coinvolgono questioni umane come il senso che attribuiamo alla giustizia e alla stessa vita. Il filosofo greco Pitagora, divenuto celebre per il suo vegetarianismo ante litteram, fu uno dei primi a esprimersi contro la violenza sugli animali. L’esempio di Pitagora fu imitato da Porfirio, da Teofrasto, da Empedocle. Quest’ultimo disse: «È una grande vergogna spargere il sangue e divorare le belle membra di animali ai quali è stata violentemente tolta la vita».

Democrito invece era attratto dall’intelligenza, dall’ingegnosità di alcune specie: i ragni tessitori, i picchi, i castori che costruiscono vere e proprie dighe, manifestando una capacità di adattamento, di problem solving la definiremmo oggi, che desta meraviglia e stupore. Lo storico greco Plutarco invece ne fece una questione di sensibilità:  «Tu chiedi in base a quale ragionamento Pitagora si sia astenuto dal mangiare carne: io invece domando, pieno di meraviglia, con quale disposizione, animo o pensiero il primo uomo abbia toccato con la bocca il sangue e sfiorato con le labbra la carne di un animale ucciso, imbandendo le tavole con cadaveri e simulacri senza vita; e abbia altresì chiamato “cibi prelibati” quelle membra che solo poco prima muggivano, gridavano e si muovevano e vedevano. Come poté la vista sopportare l’uccisione di esseri che venivano sgozzati, scorticati e fatti a pezzi?».

Dello stesso pensiero era Seneca che sostenne che esiste un profondo legame tra l’uccidere gli animali e il massacrare i propri simili in guerra. Se l’uomo considera naturale la soppressione di una vita, lo spargimento di sangue prima o poi considererà naturale e inevitabile anche la soppressione di altre forme di vita, come quella umana. Circa 1800 anni dopo lo scrittore russo Lev Tolstoj fu dello stesso avviso: «Fino a quando ci saranno i macelli, ci saranno anche i campi di battaglia. La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali.» Dallo stato delle sue carceri, dei suoi ospizi, dei suoi ricoveri. Il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, pur ritenendo gli animali privi di facoltà razionali, li credeva capaci di emozioni profonde e si domandava: «Chi è crudele nei confronti degli animali come può essere una buona persona?» 

Gli esempi sarebbero infiniti e non sarebbe neanche auspicabile riportarli tutti, da Kant a Montaigne passando per Rousseau, di epoca in epoca, di stagione storica in stagione storica l’uomo si è sempre domandato con un senso di tristezza e di disagio perché venga inflitta, in modo deliberato o inconsapevole, per via della caccia, della macellazione o di altre pratiche simili, una grande sofferenza a creature dotate di sensibilità e di sentimenti anche complessi. 

Fu tuttavia il filosofo Jeremy Bentham a porre nella percezione della gioia e della sofferenza la qualità che accumuna i membri di ogni specie: «Che altro dovrebbe tracciare la linea invalicabile? La facoltà di ragionare o forse quella del linguaggio? Ma un cavallo o un cane adulti sono senza paragone animali più razionali, e più comunicativi, di un bambino di un giorno, o di una settimana, o persino di un mese. Ma anche ammesso che fosse altrimenti, cosa importerebbe? Il problema non è “Possono ragionare?”, né “Possono parlare?”, ma “Possono soffrire?”». 

Una formica aiuta la sua amica rimasta intrappolata nella rugiada

Se dovessimo sintetizzare gli interrogativi etici dell’animalismo possiamo rintracciare in questa linea di pensiero tre grandi domande: gli animali sono intelligenti? Gli animali provano emozioni e sentimenti? Gli animali sentono dolore? A sua volta queste tre grandi domande ne racchiudono altre. Ad esempio, esiste una definizione univoca di intelligenza? Cos’è il dolore? Cos’è il piacere?  Tutte queste domande alla fine però si riducono a un’unica domanda: cos’è la vita? Quale vita è degna di essere vissuta? Possiamo noi giudicare chi è meritevole di vivere? Lo sviluppo del linguaggio e di facoltà razionali complesse non sono più un discrimine che rende immeritevoli della vita. Chi è affetto da handicap neurologici o da altre alterazioni delle facoltà intellettive ha tutto il diritto di vivere come qualsiasi altro suo simile normodotato. Sorge spontanea la domanda: perché questo stesso diritto non viene riconosciuto alle altre creature senzienti di questo pianeta?

Se in passato l’uccisione degli animali per nutrirsi della loro carne era una questione di sopravvivenza, legata alla scarsità di cibo, lo sviluppo industriale e tecnologico ha reso l’uomo occidentale libero da qualsiasi dipendenza dalla carne animale. Sono innumerevoli le fonti alternative di proteine necessarie per il nostro sostentamento. Nell’utilizzo degli animali come fonte di cibo non vi è una motivazione di natura pratica. E non vi è neanche una mancanza di etica. Pochissimi consumatori di carne sarebbero in grado di uccidere un animale a sangue freddo, di macellare una mucca, di sgozzare un maiale, di decapitare un cavallo, eppure la maggior parte della popolazione consuma tranquillamente carne, si ciba di carne animale. Tutti sappiamo cosa accade nei macelli, conosciamo la violenza praticata in questi luoghi simili a un inferno sulla terra, ma il consumo di carne animale è rimasto quasi inalterato. 

E c’è in effetti un motivo molto semplice dietro: nella carne che acquistiamo comodamente impacchettata, tagliata o addirittura già cucinata, priva insomma di qualunque legame con la vita, non identifichiamo un essere senziente. A livello razionale siamo consapevoli che quella carne apparteneva a qualcuno, che una vita è stata soppressa, ma quest’informazione è un dato astratto che di rado ci sfiora la mente. La distrazione, la forza dell’abitudine, le tradizioni culinarie, la disponibilità della carne animale possono di più sull’etica e sulla sensibilità. Da qualunque angolazione vogliamo esaminare il problema, non ne usciamo bene, ma esserne consapevoli potrebbe almeno essere un inizio. Il rifiuto della violenza sugli animali, qualunque forma di violenza praticata contro esseri senzienti, è la conditio sine qua non per estirpare tutte le altre forme di violenza diffuse nel nostro pianeta.

[di Guendalina Middei, in arte Professor X]

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