giovedì 3 Ottobre 2024

Meglio tardi che mai: il Consiglio d’Europa riconosce Assange “prigioniero politico”

L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) ha ufficialmente designato ieri Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, come «prigioniero politico». La decisione, arrivata dopo l’audizione che lo stesso Assange ha tenuto martedì scorso a Strasburgo, è stata formalizzata attraverso il via libera a una mozione che ha ottenuto 88 voti a favore, 13 contrari e 20 astenuti. La pronuncia è arrivata fuori tempo massimo, solo dopo che l’odissea giudiziaria di Assange – il quale ha dovuto, per sua stessa ammissione, dichiararsi «colpevole di giornalismo» per tornare libero – si è conclusa. Ciononostante, potrebbe avere ricadute significative, dal momento che ha espressamente richiesto ai governi di USA e Regno Unito di fare luce su alcuni punti del caso, affermando che le istituzioni debbano attivarsi concretamente affinché una simile vicenda non si ripeta in futuro.

L’Assemblea, che riunisce i parlamentari delle 46 nazioni del Consiglio d’Europa, ha accolto favorevolmente il rilascio di Assange, avvenuto lo scorso giugno in seguito a un accordo con il ministero della Giustizia statunitense, riconoscendo formalmente l’impegno del giornalista australiano nell’aver portato alla luce, attraverso il suo lavoro, importanti informazioni in merito a potenziali violazioni dei diritti umani e crimini di guerra. La risoluzione che ha ottenuto il semaforo verde, basata su un rapporto della socialista islandese Thorhildur Sunna Aevarsdottir, afferma testualmente che, secondo una  definizione  concordata nel 2012, il trattamento riservato ad Assange giustifica la sua designazione come «prigioniero politico». L’organo deliberativo del Consiglio d’Europa ha in particolare evidenziato le gravi accuse mosse contro il fondatore di WikiLeaks dagli Stati Uniti d’America, che lo esponevano a un possibile ergastolo: una pena che l’Assemblea ha definito «sproporzionata», dal momento che le azioni di Assange si erano concretizzate, in sostanza, sulla «raccolta e pubblicazione di notizie». Il Consiglio d’Europa ha inoltre chiesto agli USA di indagare sui presunti crimini di guerra e violazioni dei diritti umani che sarebbero emersi dalle pubblicazioni di Assange e Wikileaks. Infatti, ha aggiunto l’Assemblea, la mancata indagine, unita al duro trattamento riservato ad Assange e alla whistleblower Chelsea Manning, ha generato la percezione che la finalità del governo americano fosse quella di «nascondere le irregolarità commesse dagli agenti di Stato anziché proteggere la sicurezza nazionale».

Attraverso il via libera alla mozione, il Consiglio d’Europa ha inoltre accusato le autorità del Regno Unito di non essere state capaci di proteggere la libertà di espressione di Assange, chiedendo allo Stato britannico di condurre un’inchiesta per stabilire se il giornalista sia stato sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti nel corso della detenzione nel carcere britannico di massima sicurezza di Belmarsh. L’Assemblea ha poi sollecitato gli Stati Uniti a riformare «con urgenza» le proprie norme sullo spionaggio ed «escludere la possibilità che possa essere usata nei confronti di editori, giornalisti e whistleblower che divulgano informazioni classificate con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica e informare su crimini gravi, come l’omicidio, la tortura, la corruzione o la sorveglianza illegale». Tra i 13 rappresentanti italiani al voto, 10 hanno detto sì alla mozione, mentre 3 si sono astenuti.

Martedì, davanti alla Commissione per gli affari giuridici dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Julian Assange ha preso la parola  pubblicamente per la prima volta da quando, nel mese di aprile 2019, è stato arrestato dalla polizia britannica – dopo sette anni di confinamento forzato nell’Ambasciata ecuadoriana di Londra – e poi rinchiuso, per altri cinque, in una cella d’isolamento nel carcere di Belmarsh. «Ho scelto la libertà sull’impossibilità di ottenere giustizia – ha affermato Assange nel corso dell’audizione -. Voglio essere totalmente chiaro: non sono libero oggi perché il sistema ha funzionato, sono libero perché dopo anni di carcere mi sono dichiarato colpevole di giornalismo». Il fondatore di Wikileaks ha poi aggiunto: «Se l’Europa vuole avere un futuro in cui la libertà di parola e la libertà di pubblicare la verità non siano privilegi riservati a pochi ma diritti garantiti a tutti, allora deve agire in modo che ciò che è accaduto nel mio caso non accada mai a nessun altro».

[di Stefano Baudino]

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