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Oltre centomila persone hanno bloccato la Francia durante l’insediamento del nuovo governo

Dopo il tumulto politico-elettorale che ha scosso la Francia negli ultimi mesi e che ha portato alla nomina come primo ministro [1] di Michel Barnier, esponente del partito “I Repubblicani” uscito sconfitto alle elezioni, oltre centomila persone hanno preso parte a manifestazioni e scioperi in tutta la Francia martedì primo ottobre. Lo stesso giorno in cui il neoeletto primo ministro francese ha pronunciato la sua dichiarazione politica all’Assemblea generale, annunciando consistenti tagli della spesa pubblica. Se secondo i dati del ministero dell’Interno, le manifestazioni in tutta la Francia sono state contenute con un totale di 95.000 partecipanti, il sindacato CGT ha dichiarato di aver contato 170.000 manifestanti in tutta la Francia, di cui 20.000 solo a Parigi.

I cittadini che hanno preso parte ai cortei proprio durante l’insediamento del nuovo governo hanno chiesto un miglioramento dei salari e dei servizi pubblici e l’abrogazione della riforma delle pensioni approvata lo scorso anno, su appello dei sindacati CGT, FSU e Solidaires. A Strasburgo, dove la manifestazione di protesta è iniziata nel pomeriggio, sono apparsi striscioni con la scritta “per i nostri salari, il nostro lavoro, le nostre condizioni di lavoro e di studio”. «Questa manifestazione serve a dimostrare al Primo Ministro che esistono questioni sociali, questioni relative alle pensioni, questioni relative ai servizi pubblici» ha detto Laurent Feisthauer, segretario generale della CGT del Basso Reno.

Tra le maggiori preoccupazioni dei dimostranti c’è quella inerente ai tagli alla spesa sociale, in particolare all’istruzione e alla sanità: «Sappiamo molto bene che la destra vorrà risparmiare e che ridurremo ulteriormente i mezzi dell’istruzione nazionale», ha affermato [2] un’insegnante di scuola suoperiore che ha preso parte alle manifestazioni. Similmente, un assistente sociale in un ospedale di Seine-et-Marne ha detto con riferimento alle spese sanitarie che «Non sappiamo nemmeno cosa troveranno da tagliare. Non è rimasto niente». Inoltre, sono state bloccate anche alcune scuole superiori parigine. Un centinaio di studenti hanno marciato nel Quartiere Latino, con striscioni contro Barnier. Secondo alcuni osservatori, l’obiettivo dei sindacati era quello di esercitare pressione sul primo ministro, dopo che quest’ultimo aveva ricevuto le parti sociali la scorsa settimana. Barnier aveva dichiarato di voler restituire ai sindacati il controllo sulla garanzia contro la disoccupazione, contrariamente alle intenzioni del precedente governo Attal.

Le rimostranze sono andate in scena proprio mentre Barnier annunciava la necessità di nuovi tagli della spesa pubblica: il primo ministro francese, infatti, si è impegnato a ridurre il disavanzo pubblico  al 5% del Pil nel 2025, con una traiettoria che dovrebbe consentire di «tornare sotto il tetto del 3% nel 2029». «La prima cura per il debito è ridurre la spesa. Nel 2025, due terzi dello sforzo di ripresa deriveranno quindi dalla riduzione della spesa. Ridurre la spesa significa rinunciare al denaro magico, all’illusione che tutto sia gratis, alla tentazione di sovvenzionare tutto», ha dichiarato [3]. Per indorare la pillola e fare presa soprattutto sull’elettorato di sinistra poi, il primo ministro ha annunciato una  patrimoniale per le grandi imprese e i grandi patrimoni, dicendo che sarà richiesta una «partecipazione al risanamento collettivo alle grandi imprese che realizzano profitti importanti» e «un contributo eccezionale» ai «francesi più fortunati», in nome della «richiesta di giustizia fiscale». Parallelamente, ha annunciato una rivalutazione del 2% del salario minimo a partire dal primo novembre e si è detto disponibile ad «aggiustamenti ragionevoli ed equi» alla tanto criticata riforma delle pensioni [4] in vigore dallo scorso anno, senza però specificare una scadenza o un calendario per procedere nella direzione di una riforma.

Le ultime manifestazioni in Francia risultano, dunque, generate dal malcontento per le ormai consuete ricette economiche neoliberiste, che impongono tagli della spesa pubblica in nome dei conti pubblici in ordine, e dalla grave crisi della democrazia che si è creata Oltralpe: il vero vincitore delle elezioni, Jean-Luc Mélenchon, e il suo partito La France Insoumise, sono infatti stati estromessi dal governo insieme a Rassemblement National di Marine Le Pen che pure aveva ottenuto un ottimo risultato alle urne, con l’obiettivo di mantenere lo status quo della politica francese dominata dal “macronismo” e impedire la concretizzazione delle istanze socialiste, emerse dai risultati delle urne. Nonostante i risultati delle politiche economiche liberiste siano stati e continuino ad essere disastrosi ovunque applicati – si veda ad esempio il caso dell’Argetina ultraliberista di Milei [5] – soprattutto i governi europei continuano a proporle come unica soluzione al presunto problema dei conti pubblici, generando però ulteriore povertà e malcontento sociale come mostrato dalle ultime manifestazioni francesi.

[di Giorgia Audiello]