sabato 12 Ottobre 2024

I grandi Paesi europei forse si stanno muovendo per fermare Israele

Dopo i recenti attacchi alle postazioni della missione internazionale UNIFIL, i grandi leader europei si sono resi conto che, forse, Israele andrebbe fermato. Ieri, in occasione dell’undicesimo summit dei Paesi meridionali europei “MED9”, i vertici di Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Italia, Malta, Slovenia e Spagna, e il Ministro degli Esteri portoghese hanno chiesto l’implementazione di un urgente cessate il fuoco in Libano e a Gaza. Parallelamente, Francia, Spagna e Italia hanno rilasciato una dichiarazione congiunta sulla stessa questione, mentre le voci di condanna aumentano sempre di più. Capofila, come al solito, sono Irlanda e Spagna: «La logica è semplice. Senza armi, non c’è guerra», ha dichiarato il primo ministro spagnolo, Pedro Sánchez, suggerendo un embargo di armi nei confronti dello Stato ebraico. All’appello di Sánchez si è unito, a suo modo, anche il Presidente francese Macron, sebbene limitando la propria condanna agli attacchi all’UNIFIL. Mentre l’Europa si focalizza sul ferimento di due caschi blu, Israele continua i propri massacri in Palestina e in Libano, dove il numero di morti aumenta di giorno in giorno.

Nelle ultime settimane, le voci europee contro le decisioni dello Stato ebraico si stanno sollevando sempre di più. Oltre alle già schierate Spagna e Irlanda, ultimamente, anche la Francia di Macron sta iniziando a prendere una posizione più netta. Sebbene più tiepida della postura del premier spagnolo, la richiesta di fermare l’invio di armi nei confronti di Israele si configura indubbiamente come un cambio di prospettiva, e, quanto meno, apre alla possibilità di riconsiderare i rapporti con Tel Aviv. Nella dichiarazione congiunta con Francia e Spagna, l’Italia usa per la prima volta parole di forte condanna nei confronti delle azioni israeliane, accusando Tel Aviv di avere violato la legge internazionale. Lo stesso ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, ha espresso dure parole contro lo Stato israeliano, tanto da parlare di «crimini di guerra»; a tali dichiarazioni, si è poco dopo aggiunta anche Giorgia Meloni, che si è accodata all’aperta condanna di Israele.

Nel rilevare il manifesto cambio di paradigma nelle dichiarazioni dei grandi vertici europei, non può passare inosservato come queste prime accuse di “crimini di guerra” e di “violazione della legge internazionale” siano relative ai recenti e ripetuti attacchi alle postazioni dell’UNIFIL (la missione ONU in Libano) condotti dall’esercito israeliano. Per tale motivo, la forte presa di posizione dei leader europei sembrerebbe derivare da elementi di natura esclusivamente politica, più che da un’improvvisa vocazione umanitaria e di solidarietà verso la popolazione araba del Medio Oriente. Come da manuale della diplomazia, a un’offesa deve seguire, nel più debole degli scenari, una ferma condanna. Tale ipotesi sarebbe rafforzata da quell’alone di timidezza che circonda la maggior parte delle inedite dichiarazioni europee: è vero, Macron ha lanciato un appello per fermare l’invio di armi a Israele, ma ciò che ha chiesto, di preciso, è «un blocco all’esportazione delle armi usate a Gaza e in Libano», e non un vero e proprio embargo sulla vendita di equipaggiamento militare; Crosetto ha condannato le azioni israeliane, ma nel parlare di «crimini di guerra» ha usato tutti i condizionali dovuti al caso, e, poco dopo, ci ha tenuto a rimarcare pubblicamente che la sua «ferma e durissima condanna di quanto è accaduto contro il contingente UNIFIL in Libano non sarà mai disgiunta dalla costante azione mia, della Difesa e dell’intero governo contro ogni rigurgito di antisemitismo, sia palese che strisciante», come se una più ampia condanna delle azioni israeliane a Gaza o in Libano possa in verità celare uno «strisciante rigurgito di antisemitismo».

Per ora, gli unici Paesi a non limitarsi alle sole parole rimangono, come ormai da mesi, Spagna e Irlanda. Sánchez ha effettivamente fermato l’esportazione di armi spagnole allo Stato ebraico, e il suo omologo Simon Harris si è opposto alle richieste israeliane di spostare i contingenti dell’UNIFIL dal Libano. Madrid e Dublino, oltre ad avere ratificato il riconoscimento dello Stato palestinese, hanno chiesto alla Commissione Europea di «constatare che se non si rispettano il diritto internazionale e i diritti umani, contenuti essenziali dell’accordo di associazione tra UE e Israele, c’è solo un cammino: rivedere questo accordo», suggerendo, insomma, di interrompere tutte le relazioni e gli scambi con lo Stato ebraico. Non è ancora dato sapere se tutte queste discussioni sortiranno davvero effetti. In ogni caso, il fatto che le condanne lanciate dalla maggior parte dei Paesi europei siano ancora parecchio conservative e di natura politica, non cancella il fatto che, per una volta, esse abbiano introdotto nuovi temi sul piatto, che stanno iniziando a venire discussi pubblicamente.

Nel mentre non sono certo le discussioni a frenare la furia di Israele. In Libano, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) continuano la propria invasione, ormai estesasi anche alle aree occidentali della Linea Blu (il confine che separa i due Paesi); nella giornata di oggi, l’aviazione israeliana ha completamente distrutto un edificio di tre piani nella città di Nabatiye, nel sud del Paese; attacchi aerei sono stati segnalati anche nelle città di al-Bazuriyya, Zibqin, e Sidone, dove sono state uccise almeno quattro persone. Secondo l’emittente qatariota Al Jazeera, inoltre, le IDF avrebbero minacciato di attaccare le ambulanze, accusandole di trasportare armi ed equipaggiamento per Hezbollah. Nel nord della Striscia di Gaza continua l’assedio di Jabalia, dove solo tra ieri e oggi sono state uccise 42 persone. Dall’escalation del 7 ottobre, l’esercito israeliano ha ucciso per via diretta almeno 42.175, anche se il numero di morti totale potrebbe superare le centinaia di migliaia di persone, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet, e dalla recente lettera di medici volontari nella Striscia.

[di Dario Lucisano]

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