Le popolazioni di animali selvatici stanno scomparendo a un ritmo allarmante, una situazione descritta come “catastrofica” dal WWF. L’analisi, basata su oltre 35.000 popolazioni di più di 5.000 specie diverse, mostra un declino globale del 73% negli ultimi 50 anni. Questa perdita sarebbe particolarmente grave in America Latina e nei Caraibi, dove alcune regioni hanno visto un crollo del 95%. Il Living Planet Index, curato dal WWF e dalla Zoological Society of London, e a cui hanno contributo oltre 125 esperti di tutto il mondo, traccia l’andamento delle popolazioni di vertebrati come anfibi, uccelli, mammiferi, rettili e pesci. I dati evidenziano che le popolazioni di acqua dolce sono le più colpite, con un calo medio dell’85%. Anche le popolazioni terrestri e marine hanno subito diminuzioni significative, rispettivamente del 69% e del 56%.
Secondo il rapporto, le specie più a rischio d’estinzione includono il gorilla di pianura orientale, il cui numero nel Parco Nazionale Kahuzi-Biega (Repubblica Democratica del Congo), ha visto un calo stimato dell’87% tra il 1994 e il 2015, principalmente a causa della caccia illegale, e il pappagallo cenerino in Ghana sud-occidentale, il cui numero è diminuito fino al 99% tra il 1992 e il 2014 a causa delle trappole usate per il commercio di uccelli selvatici e la perdita di habitat.
Le principali cause di questo declino sono legate al sistema alimentare e alle attività umane, con la distruzione degli habitat, lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, l’inquinamento e le specie invasive che esercitano una pressione costante sugli ecosistemi. La deforestazione e il cambiamento climatico, in particolare nelle regioni tropicali, sono altri fattori che contribuiscono a questa crisi.
La drastica riduzione della fauna selvatica non solo rappresenta una perdita significativa, ma compromette anche la stabilità degli ecosistemi, mettendone a rischio la sopravvivenza.
Ogni specie svolge infatti un ruolo unico e insostituibile nel mantenimento dell’equilibrio naturale. La scomparsa di una singola specie può innescare effetti a cascata sull’intero ecosistema. La fauna selvatica offre servizi ecosistemici fondamentali, come l’impollinazione, la regolazione del ciclo idrico e la decomposizione della materia organica, contribuendo alla conservazione della biodiversità. Quest’ultima è essenziale per la produttività e la resilienza degli ecosistemi, migliorando la loro capacità di resistere a eventi avversi come inondazioni, siccità e malattie.
Non tutto è però ancora del tutto perso: sappiamo anche che agendo sull’attività di conservazione delle specie possiamo allontanarci dal baratro. È stato infatti provato che terreni sterili con risaie abbandonate che vanno a fuoco ogni anno, degradati e privi di fauna selvatica possono essere completamente ripristinati e diventare un vero e proprio ecosistema per flora e fauna che aiuta le popolazioni locali: lo dimostra nello specifico uno studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista Tropical Natural History, che descrive l’impegno e i risultati ottenuti sull’isola del Borneo, in Indonesia, grazie ad un lavoro durato quasi 15 anni. Qui, dal 2009, un gruppo ambientalista locale e le comunità vicine collaborano per ripristinare i terreni seminando piante autoctone, estirpando le erbacce e irrigando la zona. Un impegno che ha portato ad un calo significativo della deforestazione e alla comparsa di oltre 47 specie di cui 18 a rischio estinzione.
[di Gloria Ferrari]