Al quindicesimo giorno di assedio totale dell’area settentrionale della Striscia di Gaza, Israele non sembra volere dare tregua al governatorato di Nord Gaza, dove continua a compiere una strage dietro l’altra. Ieri, dopo avere bombardato due scuole, continuato l’assedio di un ospedale, sparato su un’ambulanza, bersagliato tende e rifugi per sfollati, e prelevato indiscriminatamente persone da deportare a sud, è arrivato l’ennesimo massacro: nella sera, l’aviazione israeliana ha lanciato un bombardamento su un intero blocco residenziale della città di Beit Lahia, uccidendo almeno 73 persone e ferendone decine. Molti sono ancora intrappolati sotto le macerie, e il numero delle vittime sembra destinato ad aumentare. Tra feriti e dispersi, non è ancora possibile definire il numero totale delle persone coinvolte, anche perché i medici stanno riscontrando sempre più difficoltà nel prelevare i corpi di defunti e feriti: dall’inizio dell’assedio, Israele ha infatti cinto l’intera area di carri armati e soldati, impedendo l’accesso a cibo, acqua, medicine, e carburante, e ha continuato a bersagliare gli operatori medici della zona.
Il massacro di Beit Lahia è stato annunciato ieri, qualche minuto prima delle 22:30. A essere preso di mira è stato un intero isolato residenziale, raso al suolo da un’intensa serie di bombardamenti dell’aviazione israeliana. Dopo il raid aereo, avvenuto senza preavviso, i quadricotteri delle IDF hanno iniziato a prendere di mira i paramedici che tentavano di raggiungere i feriti e le persone intrappolate sotto le macerie. Vista la portata della devastazione causata dall’attacco, non si sa ancora quante persone siano state uccise o ferite da quest’ultimo massacro. Il primo bilancio delle vittime arrivava a 60 morti, ma poco dopo le fonti ufficiali lo hanno alzato a 73. Da allora, non ci sono ulteriori notizie riguardo al possibile numero di morti, feriti e dispersi, perché gli operatori sanitari non stanno riuscendo a soccorrere le persone, tra complicazioni logistiche nello spostamento dovuti alla mancanza di carburante, questioni di natura medica derivanti dalla scarsità di medicine, e non indifferenti problemi di sicurezza, visto che gli ospedali sono assediati, le ambulanze vengono colpite dal fuoco dei soldati, e i medici sono oggetto dei medesimi attacchi che colpiscono i veicoli. Secondo il giornalista palestinese Hossam Shabat [1], che risulta ancora attivo nell’area di Nord Gaza, il numero di morti dovrebbe essere salito a 80.
La strage di ieri si inserisce nel più ampio piano di assedio totale [2] del nord della Striscia, dove da 15 giorni le forze israeliane hanno intrappolato circa 400.000 persone, bloccando sin dall’1 ottobre l’accesso a cibo, acqua, medicine e carburante. Dal 6 ottobre, invece, le città di Jabaliya, Beit Hanun, e Beit Lahia risultano completamente accerchiate e isolate dal cordone di soldati e carri armati. In questi 15 giorni, l’esercito israeliano ha emesso vari ordini di evacuazione, prendendo tuttavia di mira gli stessi civili in fuga, e non fornendo ai cittadini il tempo sufficiente per andarsene. Nel frattempo, ha iniziato ad assediare gli ospedali e le strutture mediche dell’area, senza risparmiare dai propri colpi medici e giornalisti. Venerdì 18 ottobre è stata infine interrotta la copertura internet della zona, rendendo ancora più difficile a civili e giornalisti comunicare verso l’esterno e documentare quanto accade. Dall’inizio dell’assedio, Israele ha ucciso oltre 500 persone. In generale, in tutta la Striscia di Gaza, dall’escalation del 7 ottobre [3], l’esercito israeliano ha ucciso direttamente almeno 42.519 persone, anche se il numero di morti totale potrebbe superare le centinaia di migliaia di persone, come sostenuto da un articolo [4] della rivista scientifica The Lancet, e dalla recente lettera [5] di medici volontari nella Striscia.
[di Dario Lucisano]