Dopo mesi di mobilitazione, la “intifada studentesca” dell’Università Statale di Milano ha annunciato di avere ottenuto una «straordinaria» vittoria: l’ateneo meneghino congelerà i rapporti con la Reichmann University. «La Reichmann University non è solo un’istituzione accademica, ma un simbolo del sionismo», hanno scritto i Giovani Palestinesi nel comunicato di annuncio. Essa, denunciano gli studenti, risulta particolarmente intrecciata con le istituzioni militari dello Stato ebraico, tanto da ospitare ogni anno una conferenza per gli alti ranghi delle forze militari israeliane. In questo modo, l’Università ha per il momento interrotto tutti gli scambi con gli atenei israeliani. A quasi un anno dalle prime mobilitazioni, gli studenti rilanciano quindi le proprie rivendicazioni: «Abbiamo dimostrato che la resistenza studentesca funziona», continua il comunicato; «Ora vogliamo lo stesso in tutte le città italiane!».
L’annuncio del congelamento dei rapporti tra l’Università Statale di Milano e l’Università israeliana Reichman è arrivato ieri. La Reichman University sorge in territorio israeliano a Herzliya, città intitolata a Theodor Herz, che nel 1897 fondò l’Organizzazione Sionista Mondiale. Essa poi, come tutte le università israeliane, intrattiene strette relazioni con le IDF, dedicandovi programmi di studio, e riservando privilegi ai militari attivi. In tal senso, il congelamento degli scambi con tale università è considerato dal movimento particolarmente simbolico, e «sferra un colpo diretto al cuore del sistema accademico sionista». Con il congelamento delle relazioni con la Reichman University, l’Università Statale di Milano non intrattiene più alcuno scambio con gli atenei israeliani. Precedentemente, nel periodo di maggior coinvolgimento del movimento dell’intifada studentesca in Italia, l’università meneghina aveva infatti interrotto i rapporti con l’Università di Ariel, che sorge in Cisgiordania. Gli attivisti hanno definito questo successo «straordinario», rilanciando poi il movimento: in tutta Italia, infatti, ci sono ancora numerose università che mantengono legami con gli istituti israeliani. La stessa Università di Milano, poi, «rimane ancora legata a dinamiche problematiche», come nel caso di «collaborazioni con la Marina Militare italiana, o della «partecipazione alle esercitazioni di mare aperto», o, ancora, dei rapporti «con Eni». Il movimento studentesco intende interrompere in generale le relazioni, anche trasversali, con lo Stato di Israele, e smantellare i legami delle università con tutte quelle istituzioni che essa ritiene strettamente intersecate con guerra e sfruttamento. In tal senso, la strada è ancora lunga: «Questo è solo l’inizio!».
L’Intifada studentesca va avanti da tempo, e verso maggio aveva ormai assunto i connotati di un movimento globale. In Italia la “mobilitazione dei saperi” è iniziata attorno alla metà di novembre. Poco dopo la metà di marzo, a Torino c’è stato il primo caso di approvazione di una mozione che sospende la partecipazione di una università al bando MAECI per la collaborazione con le università israeliane, e qualche giorno dopo tale soluzione è stata approvata anche dalla Normale di Pisa, i cui studenti si sono raccontati a L’Indipendente. A giugno, una prima grande vittoria: l’università di Palermo è stata la prima in Italia a sospendere tutti gli accordi con Israele. Nel mondo, dopo le proteste studentesche statunitensi analoghe “acampade” sono sorte in ogni angolo del pianeta, arrivando in Canada, Messico, Australia, e Medioriente. Anche l’Europa è stata particolarmente colpita da questa ondata di contestazioni, e nello stesso periodo sono sorti campi di tende nel Regno Unito, in Francia, in Spagna, in Germania, e in numerosissimi altri Paesi del Vecchio Continente.
[di Dario Lucisano]
Sarebbe l’ora di estendere a tutte le università, ma anche la popolazione dovrebbe cominciare a sabotare tutte le aziende e ditte che supportano Israele nella sua follia.
Ottimo segnale, ora tocca a tutte le università
Applausi a scena aperta.
Forse c’è ancora speranza…