Una svolta esistenziale quella che potrebbe intraprendere la Georgia, piccolo paese caucasico di più di 3 milioni di abitanti situato immediatamente a sud della Russia e ai margini dell’Europa, intesa sia come continente che come concetto culturale e geopolitico. Questo paese dalla cultura, lingua e tradizioni millenarie si trova da sempre protagonista di una danza della sopravvivenza che lo avrebbe portato quest’oggi a questo punto critico della sua storia. Ieri, 26 ottobre, nel Paese si sono svolte le attese elezioni legislative e, con lo scrutinio che volge al termine, il ministero dell’Interno riconosce al partito considerato filo-russo “Sogno Georgiano” la vittoria con il 54,2%.
La tornata elettorale ha portato il governo di Tbilisi a varare, nei mesi precedenti le elezioni, leggi malviste dai governi europei e occidentali allo scopo di mantenere il consenso dell’elettorato più tradizionalista e di mostrare una maggiore apertura verso la Russia, partendo dalla legge sugli “Agenti stranieri” e arrivando a strette sui diritti civili, vietando i matrimoni tra persone dello stesso sesso e ponendo pesanti restrizioni all’aborto. Il partito avrebbe promesso anche la messa al bando di alcuni dei principali partiti di opposizione in caso di vittoria, una dichiarazione che ha generato non poche critiche in Occidente. Il conflitto interno ed il dissenso di una parte della società sono però radicati e già noti anche al di fuori del paese.
In un angolo del ring, il fondatore del Kartuli Otsneba, Boris “Bidzina” Ivanishvili, imprenditore tra quelli che fecero fortuna approfittando delle grandi privatizzazioni concomitanti con la fine dell’Unione Sovietica e che rivestì brevemente il ruolo di primo ministro della Georgia dopo aver vinto le elezioni del 2012. Nell’angolo opposto la Presidente della Georgia, Salome Zourabishvili. Nata in Francia e formata in campo diplomatico a Parigi, fu appoggiata nella sua candidatura indipendente alla presidenza nel 2018 proprio da Sogno Georgiano. Oggi è portatrice di una voce occidentalista e molto critica dell’operato dello stesso partito, che Bidzina fondò con lo scopo principale, almeno a parole, dell’ingresso della Georgia in UE e NATO.
Meglio fuori che dentro: la politica interna solo come riflesso
Queste polarizzazioni presenti in seno al Parlamento georgiano sono però solo lo specchio della frizione tra forze esterne agenti sul piccolo paese caucasico. A partire dall’indipendenza dall’URSS, la Georgia si vide rientrare appieno nel neocostituito giardino di casa russo per tutti gli anni ‘90, in particolare dopo la devastante guerra civile del ‘91-’93 che aprì la strada al secessionismo delle regioni di Abkhazia e Ossezia del Sud.
Nel 2003 però avvenne la svolta. La Rivoluzione delle Rose segnò la discesa in campo di Mikheil Saak’ashvili ed il sovvertimento del governo di stampo post-sovietico di Eduard Shevardnadze. Questo cambiamento venne sostenuto da ONG finanziate da governi di paesi occidentali, Stati Uniti ed Unione Europea in testa. Le ONG avrebbero giocato nei successivi anni un ruolo di fondamentale importanza in Georgia, fungendo da istituti di influenza europea e statunitense tramite, ad esempio, progetti di riqualificazione e sviluppo che avrebbero dovuto migliorare le infrastrutture, i servizi e l’impianto amministrativo del paese. Lo scopo dichiarato: preparare la Georgia alla “democratizzazione” e all’accesso ad UE e NATO. Quello strategico: formare una futura classe politica aderente agli ideali occidentali, garantirsi la fedeltà di migliaia di cittadini georgiani e rinforzare quest’ultima con progetti di cooperazione nell’ambito della formazione e dell’educazione e sovvenzionando media e giornalismo.
Con la presidenza Bush Jr., gli Stati Uniti miravano a indebolire la Russia nei territori della sua orbita strategica anche da un punto di vista militare. Nel 2007, il governo di Saak’ashvili costruiva nuove basi militari e impegnava le forze di difesa georgiane in addestramenti congiunti con quelle statunitensi. «Ci siamo oggi accordati sul fatto che Ucraina e Georgia diventeranno membri NATO» si legge nella Dichiarazione del Summit di Bucarest del 2008. Durante l’incontro Francia, Germania e Italia si espressero a sfavore dell’offerta dello status di membro a Ucraina e Georgia per evitare un deterioramento dei rapporti con la Russia. Il mese dopo, un cacciatorpediniere statunitense attraccava al porto di Batumi per “portare aiuti umanitari al suo alleato”. Il mese successivo, una guerra di due settimane servì alla Russia per consolidare la sua presenza nelle due repubbliche separatiste e fornire alla Georgia un chiaro avvertimento tramite un’invasione del paese che passò relativamente sotto traccia nei media occidentali: secondo Mosca, la strada dell’accesso alla NATO non era un’opzione per Tbilisi.
Il peggioramento della situazione politica in Ucraina ed un cambio della guardia con la sconfitta del partito di Saak’ashvili alle parlamentari del 2012 avrebbero posto le basi per l’inizio dell’attuale giocoleria geopolitica della Georgia, condotta principalmente da esponenti di Sogno Georgiano, tra dichiarazioni di volontà di ingresso nell’UE e spostamenti su posizioni più filo-russe.
Gli insoliti “Infopoint NATO” e la propaganda occidentale
Tra i più curiosi istituti di propaganda occidentale operanti nel paese dagli anni 2000 ad oggi ci sarebbero stati gli “Information Centre on NATO and EU” di Tbilisi. Il primo era un tempo collocato all’interno della Biblioteca Nazionale del parlamento, nella quale peraltro esiste una sezione dedicata all’Abkhazia che si trova nell’atrio di ingresso: visibile a tutti, ma non dotata di un proprio, dignitoso posto in una delle sale del palazzo, al pari delle altre sezioni storiche e letterarie. Come se fosse esposta per scherno.
Recentemente però, il ”Centro Informazioni sulla NATO e sull’UE” è stato spostato poche centinaia di metri più avanti, in Piazza della Libertà (Tavisuplebis Moedani). La piazza, scelta in maniera assolutamente non casuale, è considerata il cuore politico di Tbilisi: è esattamente qui che scoppiarono rispettivamente le proteste a favore dell’indipendenza dall’Unione Sovietica e la Rivoluzione delle Rose del 2003, ed è qui che ciclicamente scoppiano le varie proteste pro-UE e pro-Occidente condotte da studenti e classe media urbana.
A causa della legge sugli agenti stranieri e del crescente clima di tensione tra Georgia ed Occidente, però, il nuovo Centro, già pronto per essere operativo con tanto di vetrine, tabelloni e decorazioni a tema UE e NATO, non vedrà mai la luce. Entrando e parlando con una guardia e con un giovane impiegato, ci si rende conto che nemmeno i dipendenti hanno bene idea di ciò di cui il centro si sarebbe dovuto occupare se non un non meglio specificato “tenere incontri ed eventi” per promuovere l’ingresso della Georgia in UE e NATO.
L’impiegato parla con tono di disfatta della situazione: «Non so bene che cosa faremo ora». Chiedendogli se sa da dove provenissero i fondi per finanziare l’attività del centro, mi conferma: «Eravamo finanziati solo dal Ministero degli Affari Esteri georgiano e dall’Ambasciata degli Stati Uniti, non dall’Unione Europea». Parlando di una possibile invasione russa della Georgia se questa fosse entrata nella NATO e se si fosse posizionata fermamente e definitivamente contro Mosca, dice: «Non ha senso. Quello di cui stai parlando è fantascienza».
Il distacco dall’Occidente
Reperire dati sui flussi di denaro iniettati dai governi occidentali nelle ONG ed in altre varie istituzioni era ovviamente molto difficile, e da qui la legge sugli “Agenti stranieri” tacciata di “filoputinismo” in Occidente, ma presente allo stesso modo nella legislazione statunitense, russa e australiana. Segando le gambe alle ONG, Sogno Georgiano avrebbe tappato la principale breccia dell’Occidente nella società e nella politica georgiana, mostrando però in questo modo, nuovamente e volutamente, il fianco alla Russia.
In seguito all’aggravarsi della guerra in Ucraina, il governo georgiano ed in particolare esponenti del Sogno Georgiano avrebbero infatti sempre più preso le distanze dalle posizioni dell’Occidente, probabilmente per il comprensibile timore di fare la fine del vicino, martoriato paese dell’Europa Orientale. Dopo la sospensione del programma Noble Partner ed il generale peggioramento dei rapporti strategici con gli Stati Uniti, la Georgia si trova a dover aumentare la sua spesa militare essendo, tra i tre paesi transcaucasici, quello con le forze militari più ristrette (37.000 unità) ed il budget per la difesa nazionale più basso (500 milioni di dollari all’anno).
Probabilmente anche per fare fronte a queste spese, la Georgia ha tentato recentemente di diversificare la sua economia con metodi non convenzionali, ad esempio cercando di aumentare gli introiti derivanti dal gioco d’azzardo, il quale avrebbe visto un’esponenziale crescita dovuta a legislazioni favorevoli, facilità nell’ottenimento delle licenze e alla vicinanza di Batumi, il principale hub di gioco del paese, alla Turchia, dove il gioco è invece illegale.
“Tra i due litiganti, la Cina gode”
Le tensioni continueranno per anni anche dopo la travagliata fase elettorale dell’autunno del ‘24, ed il risvolto dipenderà molto anche dall’azione della nuova amministrazione statunitense. La possibilità di apertura di un nuovo fronte di guerra con la Russia non è ancora del tutto dissipata.
Intanto, tra i due litiganti, la Cina gode. Il piano geopolitico cinese delle Nuove Vie della Seta per quest’area passa attraverso le infrastrutture costruite in Asia Centrale per il trasporto di merci cinesi verso ovest, attraversa il Mar Caspio e arriva fino al Caucaso meridionale. Il porto di Baku riveste un’importanza strategica per i cinesi grazie alla sua posizione al centro del Mar Caspio, e quindi del “Corridoio centrale” della Belt and Road Initiative.
Proprio in Azerbaijan la Cina non è riuscita ad applicare il suo modello di “trappola del debito” per la costruzione di enormi opere infrastrutturali a debito grazie alla oculata scelta di Baku di auto-finanziarsi interamente qualsiasi lavoro di potenziamento della linea ferroviaria Baku-Tbilisi-Kars, che dal Mar Caspio porta in Anatolia. La Georgia, tuttavia, non è stata altrettanto lungimirante, accettando finanziamenti per grosse opere stradali e la costruzione di un nuovo porto sul Mar Nero immediatamente adiacente al confine con l’Abkhazia.
Ovunque si vada sulle principali direttrici terrestri georgiane, si incontra prima o poi un megaprogetto cinese. I cartelloni che lo illustrano a volte sono bilingue in georgiano e cinese, a volte solo in cinese. Gli operai che lavorano nei cantieri sono, almeno alla vista, tutti cinesi. Con l’indebitamento, la mancata creazione di posti di lavoro e l’inquinamento e alterazione del paesaggio, il guadagno della Georgia con queste opere sarebbe quindi solo quello di migliorare la rete logistica interna al paese, ad esempio come nel caso del corridoio Nord-Sud che diminuirà i tempi di trasporto verso la Russia attraverso un ponte e poi tunnel che permetteranno di evitare il trafficatissimo passo di Gudauri.
Il nuovo porto cinese di Anaklia sostituirà per importanza quello di Poti, ad oggi principale scalo commerciale marittimo del paese, dove ancora arrivano dagli Stati Uniti automobili usate che qui vengono ricondizionate e rivendute sul mercato georgiano. Una tratta che permette ad un georgiano di avere un’auto di matrice nordamericana come nuova per appena 4 o 5 mila euro, probabilmente possibile grazie ad accordi con centri di ritiro di auto usate negli Stati Uniti. Uno schema esistente anche in alcuni paesi africani con auto europee.
Un futuro in bilico
Le campagne georgiane ed i centri minori, abitati da circa i 2/3 della popolazione, sono dove mediamente la popolazione si definisce più a favore del riallacciamento dei rapporti con la Russia ai fini di evitare una guerra aperta. I grandi centri urbani e, al loro interno, soprattutto i giovani sono maggiormente favorevoli a un’apertura verso Occidente. Una dinamica comune a molti Paesi appartenenti allo spazio post-sovietico.
La divisione sociale si riflette in quella politica, che si muove storicamente in una danza per la sopravvivenza, sin dalle sue più antiche origini condotta strategicamente sul vertice che separa due facce di un dado, cercando di rimanere sempre più inclinata verso la faccia che, rivolgendosi verso l’alto, rivelerà il numero vincente. In un momento di crisi dove questo dado, quello della politica internazionale, sembra però star aumentando sempre di più il suo numero di facce e sembra star venendo lanciato sempre più freneticamente da una parte all’altra del tavolo da gioco, la Georgia deve stare molto attenta alla parte verso cui tendere, senza neanche la garanzia che sia una delle due facce a sua disposizione ad atterrare, anche questa volta, rivolta verso l’alto.
[di Giacomo Casandrini]
Articolo letto con piacere. Graziie. Si evidenzia quanto il disturbo, ingerenza Usa nel mondo provoca divisioni tra i popoli.
Uno spaccato della realtà.
Come la ” libertà ” esportata dagli americani serva in realtà ad installare nel territorio fisico e sociale di uno stato tutte quelleinfrastrutture funzionali all’apparato militare degli usa.
Fin quando il cosiddetto Occidente, cioè USA e schiavetti è guidato da criminali di guerra e criminali contro l’umanità come oggi, adepti di Satana e del Dio danaro con l’usma del potere dello stupido.
Solo uno stupido totale come Netanyahu o Biden può immaginare l’Impero della morte come sarebbero gli USA, più perdono meglio è.
Grazie per questo articolo di approfondimento, la differenza tra uno stato millenario e uno senza storia… forse è anche questo il motivo della sua sopravvivenza futura rispetto all’Ucraina, che un futuro non l’avrà
Grazie per le vostre approfondite, oneste e serie informazioni come quest’articolo sulla Georgia la cui storia degli ultimi 20 anni non conoscevo perché finora non avevo mai letto un articolo come il vostro. Grazie!