Da settimane, tra crisi economica e politica, la Bolivia è sprofondata nel caos. A un solo mese dagli ultimi grandi moti di protesta popolare, i sostenitori dell’ex Presidente Evo Morales sono scesi in piazza in massa per mostrare sostegno al politico indigeno, contro cui è stato emanato un mandato di cattura con l’accusa di avere avuto una relazione con una minorenne. Ieri, a complicare la situazione è arrivato un presunto attentato contro lo stesso Morales, denunciato [1] dal politico sui social. E così da circa due settimane, l’intero Paese è paralizzato dalle proteste: i manifestanti, guidati da sindacati e gruppi indigeni evisti, hanno istituito decine di posti di blocco in tutti i maggiori centri boliviani, che hanno portato a una carenza di carburante e approvvigionamento di cibo. In breve tempo le proteste nate per sostenere Morales si sono trasformate in un più generale sollevamento antigovernativo contro il Presidente Luis Arce, e le strade del Paese sono diventate teatro di scontri tra forze dell’ordine e manifestanti, con gas lacrimogeni da una parte e lanci di dinamite dall’altra.
Le proteste in Bolivia sono iniziate lunedì 14 ottobre, quando l’ex Presidente Evo Morales è stato chiamato a deporre per uno dei presunti casi pregressi di stupro e pedofilia che lo coinvolgono. In seguito alla notizia, Morales ha respinto le accuse, sostenendo [2] che esse derivino da un tentativo di smembrare il fronte evista e screditare la sua immagine, portato avanti dal governo Arce. Centinaia di persone si sono così mobilitate in sostegno a Morales, portando avanti quelli che vengono definiti “bloqueos” (blocchi). I bloqueos sono una delle forme di protesta più efficaci in Bolivia, per via della struttura delle strade del Paese. Sbarrando le principali infrastrutture, infatti, si riesce con relativa facilità a paralizzare l’intera nazione, interrompendo le forniture di carburante e cibo. Il carburante, in particolare, gioca un ruolo molto importante nell’economia del Paese, perché molti cittadini utilizzano l’automobile per lavorare.
A partire dal 14 ottobre, sono stati installati [3] 22 blocchi, anche se c’è chi stima che potrebbero essere addirittura il doppio. Essi sono stati istituiti nei dipartimenti di Chuquisaca, Oruro, Potosi, e Santa Cruz, ma la maggior parte sono concentrati intorno al Chapare, nel dipartimento di Cochabamba, proprio a causa della sua posizione particolarmente strategica. Sin dal primo giorno [4], i blocchi stradali hanno provocato carenza di carburante e prodotti alimentari, con un conseguente aumento dei prezzi. A La Paz mancano pollo e riso, alimenti di base della dieta boliviana dal prezzo accessibile. Altri dipartimenti, invece stanno vivendo il problema opposto: a Santa Cruz, il maggiore centro di allevamento di pollo del Paese, gli animali vengono macellati in gran quantità e il pollo viene svenduto perché non si riesce a consegnarlo all’esterno. Iniziate come moti in supporto a Morales, le proteste hanno così portato altre frange di cittadini a mobilitarsi, per chiedere che il governo faccia qualcosa per risolvere la crisi di approvvigionamento nelle città. È il caso per esempio di La Paz, dove lo scorso mercoledì c’è stato uno sciopero dei trasporti pubblici.
Secondo quanto comunica [5]il Presidente Arce, 12 dei 22 blocchi sono stati smantellati. Uno di questi si trovava a Puente Ichilo, Santa Cruz, ed è stato disattivato da una squadra di 700 agenti, che hanno fatto uso di gas lacrimogeni sui manifestanti. Quello di Puente Ichilo non è l’unico caso di escalation di violenza che ha interessato le proteste dei cittadini boliviani. Venerdì [6], a Parotani, le forze dell’ordine hanno provato a sfondare il cordone stradale dei dimostranti, che in risposta hanno lanciato loro – secondo fonti ministeriali – dinamite e molotov. Dopo gli scontri, 14 poliziotti sono rimasti feriti e 44 manifestanti sono stati arrestati. Per rispondere alle violenze, il ministro dell’Interno starebbe valutando il dispiegamento di membri dell’esercito.
Le proteste delle ultime settimane seguono i grandi moti che hanno investito il Paese lo scorso settembre [7]. In quell’occasione, agricoltori, trasportatori e gruppi indigeni sono scesi in piazza per protestare, tra le altre cose, contro la mancanza di carburante, l’elevata inflazione, la scarsa reperibilità di dollari e la svalutazione della moneta locale. Anche a settembre, i vari gruppi di protestanti avevano dato il via a marce di protesta e blocchi stradali lungo le principali vie di accesso a La Paz, annunciando uno «sciopero a tempo indeterminato» per spingere Arce a rinunciare alla presidenza.
[di Dario Lucisano]