Secondo una ricerca pubblicata negli scorsi giorni da Oxfam, cinquanta dei miliardari più ricchi del mondo emettono, in media, più CO2 in soli 90 minuti di quanto una persona comune ne emetta in tutta la sua vita. Il report, dal titolo “Carbon Inequality Kills”, evidenzia come le emissioni dei super-ricchi, che derivano dal loro stile di vita lussuoso e dagli investimenti in settori ad alto impatto ambientale, costituiscano una minaccia diretta per il pianeta e le fasce di popolazione più vulnerabili. La ricerca è stata pubblicata a pochi giorni dall’inizio della COP29, il vertice sul clima che si terrà dall’11 al 22 novembre in Azerbaigian, e ha l’obiettivo di evidenziare, dati alla mano, il ruolo cruciale che i super-ricchi hanno nell’accelerazione della crisi climatica.
Le cifre illustrate sono impressionanti: i miliardari analizzati hanno accumulato, in un solo anno, più emissioni grazie a voli privati e yacht di quanto farebbe una persona media in secoli. I 50 super-ricchi hanno infatti preso 184 voli in un solo anno, trascorrendo a bordo dei velivoli 425 ore, producendo tanto carbonio quanto una persona comune ne produrrebbe in 300 anni. I loro yacht hanno inoltre emesso tanto carbonio quanto una persona media ne produrrebbe in 860 anni. Nel comunicato che accompagna il rapporto, Oxfam cita l’esempio del proprietario e presidente di Amazon Jeff Bezos, i cui due jet privati «hanno trascorso quasi 25 giorni in aria in un periodo di 12 mesi» emettendo «tanto carbonio quanto un dipendente medio di Amazon negli Stati Uniti emetterebbe in 207 anni»; l’imprenditore Carlos Slim, l’uomo più ricco del Messico, ha invece «fatto 92 viaggi con il suo jet privato, equivalenti a cinque giri del globo», mentre «la famiglia Walton», erede del marchio di vendita al dettaglio Walmart, «possiede tre superyacht che in un anno hanno prodotto la stessa quantità di carbonio di circa 1.714 dipendenti dei negozi Walmart». Nel report, Oxfam evidenzia che le emissioni dell’1% più ricco «hanno causato un calo della produzione economica globale di 2,9 trilioni di dollari dal 1990» e che l’impatto maggiore «si avrà nei paesi meno responsabili del crollo climatico», nonché «perdite di raccolti che avrebbero potuto fornire abbastanza calorie per sfamare 14,5 milioni di persone all’anno tra il 1990 e il 2023». I Paesi a basso e medio-basso reddito, scrive ancora l’organizzazione, «perderanno circa il 2,5% del loro PIL cumulativo tra il 1990 e il 2050» e vedranno «il 78 percento dei decessi dovuti al caldo» a livello globale «entro il 2120».
La proposta, caldeggiata anche da Oxfam, di introdurre misure fiscali che colpiscano i patrimoni dei super-ricchi, è stata affossata lo scorso luglio – in sede di riunione dei ministri del G20 – dagli USA. Secondo la sottosegretaria al Tesoro Janet Yellen, infatti, è «preferibile che ciascun Paese si occupi del proprio sistema fiscale», in ragione delle difficoltà derivanti dal realizzare il coordinamento globale per un’iniziativa di tal genere. A spingere fortemente per l’introduzione di una tassa globale sui super-ricchi era stato il Brasile, che ha finora trovato il sostegno di Francia, Spagna, Sudafrica, Colombia e Unione Africana. Nel frattempo, uno studio condotto da un gruppo internazionale di ricercatori guidato dalla Copenhagen Business School, dall’Università di Basilea e dall’Università di Cambridge, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla prestigiosissima rivista scientifica Nature, ha recentemente dimostrato come l’impronta di carbonio delle persone più abbienti sia ampiamente sottostimata, mentre l’impronta delle persone più povere sia drasticamente sovrastimata. Il team ha intervistato migliaia di persone provenienti da Danimarca, India, Nigeria e Stati Uniti – quattro Paesi diversi tra loro in ricchezza, stile di vita e cultura – rilevando che, in base alle risposte, sia le persone di reddito alto che quelle di reddito basso dimostrano di non essere sufficientemente a conoscenza del loro reale impatto sul clima. I ricercatori hanno spiegato che il fenomeno potrebbe riflettere livelli di istruzione generalmente più elevati tra i redditi elevati, una maggiore capacità di assorbire politiche basate sui prezzi o una maggiore preferenza per soluzioni tecnologiche alla crisi climatica.
[di Stefano Baudino]