venerdì 1 Novembre 2024

L’Europa è diventata il paradiso dell’evasione fiscale: il report di Tax Justice

Un nuovo rapporto dell’Ong Tax Justice Network ha rivelato che l’Europa ospita molte delle giurisdizioni più permissive in tema di tassazione, rendendola un rifugio per grandi aziende, ricchi professionisti e organizzazioni criminali che vogliono evadere il fisco. Svizzera, Paesi Bassi, Jersey, Irlanda e Lussemburgo figurano infatti tra i primi dieci “paradisi fiscali” a livello globale, con l’Irlanda che fa segnare un netto peggioramento della sua situazione rispetto agli scorsi anni, avendo mantenuto normative poco stringenti sull’abuso fiscale. Complessivamente, l’Unione Europea contribuisce a un terzo delle perdite fiscali mondiali. Le prime posizioni sono occupate dalle Isole Vergini Britanniche, dalle Cayman e dalle Bermuda, che registrano i peggiori punteggi sugli indicatori di trasparenza fiscale.

«La rete di paradisi fiscali britannici nel Regno Unito resta la minaccia più grande per i Paesi che lavorano per impedire alle multinazionali di evadere le tasse», ha scritto commentando l’aggiornamento della classifica Tax Justice Network, che da anni esamina le giurisdizioni fiscali dei Paesi di tutto il mondo, evidenziandone gli effetti sull’economia. I risultati possono essere consultati all’interno del nuovo Corporate tax paradise Index, redatto dall’organizzazione. L’indice emerge dall’analisi di quanto margine di manovra per l’abuso fiscale delle società forniscono le leggi e i regolamenti dei vari Paesi, cui si somma il monitoraggio dell’attività finanziaria condotta dalle multinazionali in entrata e in uscita. I tre paradisi fiscali britannici che si classificano al vertice del Corporate Tax Haven Index – le Isole Vergini Britanniche, Cayman e Bermuda – hanno ottenuto i peggiori punteggi possibili (100 su 100) in tutti i 18 indicatori utilizzati nell’analisi. Tra i Paesi che, su questo versante, avrebbero migliorato il proprio impianto normativo, Tax Justice Network segnala Belgio, Danimarca, Portogallo e Italia (il nostro Paese si classifica in 27esima posizione). A peggiorare sono invece, in particolare, Brasile, Polonia e Messico. Secondo il rapporto, il 44,6% degli investimenti esteri diretti passa attraverso i principali paradisi fiscali, riducendo le entrate dei paesi di origine. Ben 16 Paesi UE hanno poi fatto evidenziare significative lacune in merito alle norme sulle società estere controllate, a causa della presenza di “scappatoie” che hanno ridimensionato la loro efficacia.

Come sottolinea Tax Justice Network, è importante rilevare come «tutti e tre i paradisi fiscali» che ricoprono le posizioni più alte della classifica «sono attualmente classificati come “non dannosi” dall’OCSE, un piccolo club di Paesi ricchi e paradisi fiscali che ha svolto il ruolo di regolatore mondiale de facto in materia fiscale per oltre 60 anni», che classifica invece come “dannoso” solo Trinidad e Tobago. Un Paese che, spiega ancora l’Ong, «non è classificato nel Corporate Tax Haven Index perché non soddisfaceva i criteri nemmeno per giustificare il monitoraggio» nel 2021, «l’ultima volta che la copertura nazionale dell’indice è stata ampliata». Nel report si ricorda che nel 2022 i Paesi dell’ONU hanno deciso all’unanimità di avviare il processo di istituzione di una convenzione quadro delle Nazioni Unite sulla tassazione, con l’obiettivo di trasferire il processo decisionale sulle norme fiscali globali dall’OCSE all’ONU. Gli Stati hanno infatti «evidenziato la responsabilità dell’OCSE nella progettazione di un sistema fiscale globale che perde quasi mezzo trilione di dollari ogni anno nei paradisi fiscali, il fallimento dell’OCSE nell’includere in modo significativo la maggior parte dei paesi nel suo processo decisionale e il suo fallito tentativo decennale di porre fine all’abuso fiscale globale delle società». Secondo quanto riportato dal Tax Justice Network nel 2023, si prevede che nei prossimi 10 anni i Paesi «perderanno 4,8 trilioni di dollari a causa dei paradisi fiscali se manterranno la rotta indicata dall’OCSE».

[di Stefano Baudino]

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