Non è passato neanche un giorno dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali, ma lo Stato ebraico ha preso alla lettera le dichiarazioni in cui il tycoon sosteneva che Tel Aviv avrebbe dovuto «finire il lavoro» in Medio Oriente. Tra ieri e oggi, in mezzo ad auguri e celebrazioni, Israele ha infatti deciso di festeggiare la riconferma del candidato repubblicano a suon di bombe, scagliando un ampio attacco nella valle libanese della Beqaa e a Beirut, e intensificando le aggressioni in tutta la Striscia di Gaza. Solo nel governatorato di Nord Gaza si sono contate almeno 14 persone uccise, mentre intanto continua l’assedio terrestre, che sta consumando sempre più i palestinesi rinchiusi nella zona. Un’inaugurazione brutale, insomma, che, tuttavia, vista la condotta del tycoon durante l’ultimo mandato presidenziale, rischia di rivelarsi essere la mera punta dell’iceberg.
Dopo la notizia del trionfo di Trump, Israele ha intensificato gli attacchi sia in Libano che a Gaza. L’offensiva più mortale è stata lanciata nel Paese dei Cedri, e di preciso nella già pluri-bombardata valle della Beqaa, prevalentemente nella città di Baalbek, che ha registrato danni nelle vecchie rovine romane. Gli attacchi hanno colpito aree attorno al mercato, zone del centro e diversi villaggi circostanti. Presso il comune di Ain sono state uccise 11 persone, mentre a Nassiriyah, nella Beqaa centrale, sono stati presi di mira gli sfollati, e il numero delle persone uccise è arrivato a 15. In totale, nella valle della Beqaa Israele ha ucciso più di 60 persone. Nella notte tra ieri e oggi, Israele ha poi lanciato una serie di attacchi nella periferia sud di Beirut, colpendo il quartiere Dahieh e quello di Ouzai, vicino all’aeroporto. I bombardamenti si sono estesi anche ai comuni meridionali della provincia, e al confine siriano-libanese. A Barja, città a sud di Beirut, l’aviazione dello Stato ebraico ha ucciso almeno 30 persone. Parallelamente, Israele ha continuato l’assedio di Nord Gaza, dove ha anche intensificato i bombardamenti. Secondo i giornalisti locali, gli attacchi israeliani si sono concentrati nel campo profughi di Jabalia e a Beit Lahiya, dove solo ieri Israele ha ucciso almeno 14 persone in aree densamente popolate. Le squadre di soccorso sono inattive ormai da fine ottobre, e i militari stanno impedendo alle persone di rientrare nelle proprie case, sbarrando le vie di accesso. L’aviazione israeliana ha attaccato anche il centro della Striscia, bombardando un edificio a Nuseirat e uccidendo almeno 3 persone; 5 persone uccise anche a est di Rafah, nel sud della Striscia.
Tra le varie reazioni alla vittoria di Trump, quella delle autorità dello Stato ebraico è stata senza ombra di dubbio la più calda e accogliente. Netanyahu ha definito quello del presidente repubblicano «il più grande ritorno della storia», mentre il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich si è lasciato andare in un sollevato «Dio benedica l’America». Effettivamente, negli ultimi mesi, in vista delle elezioni di martedì 5 novembre, Trump si è sempre mostrato ben più accondiscendente nei confronti dell’alleato mediorientale di quanto già non lo fosse l’uscente amministrazione Biden. In occasione del dibattito con lo stesso Biden, infatti, Trump aveva affermato che l’allora Presidente avrebbe dovuto smetterla di mettere i bastoni tra le ruote a Israele e lasciare che Tel Aviv «finisse il lavoro». Nei giorni che hanno preceduto l’attacco israeliano contro l’Iran, inoltre, Trump ha espresso il suo pieno sostegno verso una possibile offensiva israeliana sulle basi petrolifere e nucleari iraniane, a cui invece i democratici si erano opposti.
In generale, la vecchia presidenza Trump è ricordata per il suo sostegno incondizionato allo Stato ebraico da una parte e per la sua forte avversione all’Iran dall’altra. Nel 2017, infatti, gli Stati Uniti hanno riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele; nel 2018 Trump ha tagliato i fondi all’UNRWA; nel 2019 ha riconosciuto la sovranità israeliana sulle alture del Golan; nel 2020, infine, ha promosso gli Accordi di Abramo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, Israele e Bahrein, e Israele e Marocco (nel 2021 ha aderito anche il Sudan), i primi trattati di normalizzazione con Stati arabi dopo oltre vent’anni, che non prevedevano alcun vantaggio ai palestinesi. Per quanto riguarda la sua aperta avversione all’Iran, si potrebbero citare l’ondata di sanzioni nel 2017, il ritiro dall’accordo sul nucleare nel 2018, le minacce di attaccare il Paese nel 2019, e l’uccisione del generale Qassem Soleimani nel 2020, ma la lista di possibili esempi è ancora lunga. Visti i precedenti e le recenti dichiarazioni, insomma, l’elezione di Trump sembrerebbe sciogliere i già minimi vincoli che l’amministrazione Biden provava a imporre allo Stato ebraico, che potrebbe così sentirsi libero di intensificare le aggressioni in tutta la regione mediorientale.
[di Dario Lucisano]
Sarebbe possibile specificare quali sarebbe i “minimi vincoli” che l’amminustrazione Biden imponeva a Israele?
Se la conta dei morti diretti é a quasi 45 mila non é colpa della propoganda di Trump ne del suo entourage. Poi, se il nuovo presidente Usa, peggiorerà la situazione, se possibile, sarebbe da esprimere senza paragoni all’amministrazione precedente. Il signor Biden e la sua squadra politica, non si sono mai opposti nei fatti alla guerra in medio oriente, ne alla messa al banda dell’UNRW1 da parte di Israele, ne agli attacchi all’Iran o al Libano e potrei continuare.
Dall’articolo, però, emergerebbe che la soluzione di Trump sia più definitiva. Altrimenti, da cosa deriva l’esultanza di Netanyau?