È passata una settimana dalla vittoria di Trump alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti e, tra telefonate ai leader mondiali e presunti progetti sulla gestione della politica internazionale, iniziano a emergere le prime nomine ai vari gabinetti governativi. Già dai primi nomi sembra delinearsi il prossimo quadriennio dell’esecutivo statunitense: come anticipato dalla nomina di J.D. Vance a vicepresidente, la squadra che sta prendendo forma appare composta da membri della cerchia ristretta di Trump, conservatori e protezionisti fedeli alla sua politica e allineati con la sua visione del mondo. Da Marco Rubio, nominato Segretario di Stato, a Kristi Noem alla Sicurezza Interna, fino a Elon Musk e Vivek Ramaswamy al neonato Dipartimento di Efficienza Governativa, il secondo governo Trump sembra definirsi con chiarezza, esprimendo una postura fortemente protezionista.
Le prime nomine della transizione alla presidenza Trump-Vance sono arrivate poco dopo la notizia della vittoria del candidato repubblicano alle presidenziali tenutesi lo scorso 5 novembre, ma stanno già facendo discutere parecchio. La prima investitura ufficiale è stata quella di Susie Wiles a capo di gabinetto, un ruolo delicato e colmo di deleghe, affidato a quella che risulta probabilmente la sua più stretta collaboratrice dal 2021. Wiles è una delle principali responsabili della rielezione di Trump a presidente, poiché risulta la figura centrale nell’organizzazione della sua vittoriosa campagna elettorale. La sua nomina, esattamente come quella dello stesso vicepresidente Vance, sembra suggerire che per il prossimo quadriennio Trump intenda adottare una strategia opposta a quella scelta per la scorsa tornata presidenziale, in cui si era circondato di persone esterne al suo entourage. Una nomina inaspettata, che tuttavia conferma la stessa idea di formare una squadra di governo trumpiana, è quella di Pete Hegseth al Pentagono. Hegseth è un ex maggiore dell’esercito statunitense ora nota personalità televisiva dell’emittente filo-repubblicana Fox News. Egli è stato uno dei promotori indiretti della campagna di Trump, e ha posizioni fortemente filo-militariste e orientate alla tutela dei soldati dell’esercito statunitense.
Un altro dei primi grandi nomi emersi, sebbene non ancora ufficializzato, è quello di Marco Rubio, che secondo tutti i maggiori canali mediatici statunitensi dovrebbe ricoprire la carica di Segretario di Stato. Quello del Segretario di Stato è il più importante ufficio governativo statunitense, e corrisponde a una sorta di Ministero degli Esteri USA, anche se ricopre alcuni incarichi interni. Sotto l’amministrazione Biden, esso era occupato da Antony Blinken, mentre il ruolo di portavoce era nelle mani di Matthew Miller, di gran lunga i due politici di cui si è sentito più parlare nell’ultimo quadriennio statunitense. Rubio è noto per essere uno dei più stretti alleati di Trump: in termini di politica estera, il 56enne di origine cubana ha posizioni fortemente anticinesi e anti-iraniane; è favorevole alla classica politica statunitense di assoggettamento dell’America Latina, anche attraverso interventi diretti da parte di Washington come l’introduzione di sanzioni (durante la scorsa amministrazione Trump egli promosse l’iniziativa di sanzionare il Venezuela); si è più volte espresso contrario all’invio di ulteriori armi all’Ucraina; è fortemente pro-Israele, e sostiene che Hamas vada «completamente distrutto».
Sull’altro versante, ossia quello interno, Trump ha nominato Kristi Noem al vertice del gabinetto della Sicurezza Interna. In passato, Noem, governatrice del Dakota del Sud, è finita sotto i riflettori dei giornali per una dichiarazione da molti giudicata infelice, in cui aveva detto di avere abbattuto il proprio cane da caccia perché troppo restio all’addestramento. Al di là dei fatti di cronaca scandalistica, la sua nomina sembra confermare la stessa linea di investitura: affidare i principali gabinetti di Stato a persone di fiducia, strategia che Trump pare avere adottato anche con Vance, Wiles, Hegseth, e Rubio. Sul versante della sicurezza interna, questo inquadramento politico troverebbe conferma anche nella scelta di nominare Mike Waltz consigliere dello stesso gabinetto: Waltz, “berretto verde” (membro delle Forze Speciali dell’esercito) dall’esperienza estera pluriennale, ha già servito come consigliere alla Difesa su quelle che Trump ha descritto come «minacce provenienti da Cina, Russia, Iran e dal terrorismo globale», ha posizioni securitarie, promuove l’ampliamento del comparto militare, ed è un fervente sostenitore della strategia «di perseguimento della pace attraverso la forza».
Dopo mesi di diretto coinvolgimento nella campagna elettorale e progressivo avvicinamento al tyccon, il plurimiliardario Elon Musk è stato premiato con la nomina nel neoistituito gabinetto dell’efficienza governativa, che gestirà con l’altro imprenditore e politico repubblicano, Vivek Ramaswamy. Ramaswamy, avversario di Trump alle primarie repubblicane, non si è mai opposto al proprio rivale, ma lo ha sempre appoggiato e sostenuto nelle dichiarazioni. Egli ha posizioni tradizionaliste, fortemente orientate verso la destra cristiana evangelica e il nazionalismo cristiano, e strenuamente contrarie al secolarismo. Non è ancora chiaro quali saranno i compiti del nuovo ufficio che avrà a capo Musk e Ramaswamy. In un comunicato Trump spiega che i due imprenditori lavoreranno dall’esterno del governo per offrire «consigli e indicazioni», ricoprendo una sorta di ruolo di consulenti e supervisori esterni. Il loro compito sembra essere quello di indicare come ottimizzare le spese e dove esercitare tagli alla burocrazia e alla gestione dei dipartimenti nell’ottica di un «approccio imprenditoriale al governo mai visto prima».
Altre nomine già pubbliche e degne di nota sono quelle di William Joseph McGinley come consigliere alla Casa Bianca, Lee Zeldin all’EPA (l’agenzia di protezione ambientale), Thomas Homan alla gestione dei migranti, John Ratcliffe come direttore della CIA, Elise Stefanik come rappresentante degli USA all’ONU, Mike Huckabee come ambasciatore degli USA in Israele, e Steven Witkoff come inviato speciale in Medio Oriente. In generale, tutti i collaboratori scelti sembrerebbero sposare le linee del programma repubblicano “Agenda 47”: puntare su sicurezza e difesa, contrastare l’immigrazione, facilitare gli investimenti nelle grandi aziende, e rafforzare il dollaro sul fronte interno, e, parallelamente, imporre dazi sulle importazioni, opporsi alla Cina e all’Iran, smettere di inviare armi in Ucraina, e sostenere Israele sul piano estero e commerciale.
[di Dario Lucisano]