giovedì 14 Novembre 2024

COP29: la priorità è, al solito, l’accordo sul mercato dei crediti di carbonio

I primi risultati della COP29, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, non sembrano dare molta speranza in merito a una reale possibilità di cambiamento rispetto alle politiche ambientali. Numerosi tra i partner dell’evento sono coinvolti nel settore dell’energia fossile, mentre lo stesso presidente dell’Azerbaijan (Paese ospitante la COP), Ilham Aliyev, ha definito petrolio e gas un «dono di Dio». In questo contesto, i primi risultati della Conferenza sono stati una stima degli investimenti necessari, da parte delle Banche Multilaterali di Sviluppo (MDB), per il finanziamento delle politiche sostenibili entro il 2030 e il raggiungimento di un accordo ufficiale sul mercato del carbonio globale sotto l’egida delle Nazioni Unite. Quest’ultimo costituisce tuttavia una forma di vero e proprio neocolonialismo, in quanto basato sullo sfruttamento delle terre e delle risorse appartenenti alle comunità locali per permettere alle grandi aziende di continuare a inquinare indisturbate.

L’adozione di un mercato globale di carbonio è stata portata a termine grazie al lavoro di un ristretto gruppo di tecnici dell’Organo di Vigilanza e potrebbe essere in funzione già dal prossimo anno. Si tratta di una soluzione che non cambierebbe di una virgola il sistema alla base del problema ambientale, rischiando anzi di incentivarlo. Le grandi aziende potranno infatti contiunare a emettere indisturbate gas serra e ad inquinare grazie a imponenti operazioni di greenwashing: i ricavi delle quote di carbonio delle aziende climalteranti dovrebbero infatti, almeno in teoria, finanziare la decarbonizzazione, ma, secondo quanto rilevato dalle associazioni ambientaliste, meno del 58% dei proventi è stato fino ad ora reinvestito in progetti utili per il clima. In questo modo, quindi, non si fa altro che regolamentare un sistema che sfrutta le emissioni per creare un nuovo business e quindi nuovi profitti. Come riportato da Reuters, l’International Emissions Trading Association (gruppo imprenditoriale che sostiene i mercati globali di carbonio) ha affermato che il trading totale nel mercato sostenuto dalle Nazioni Unite potrebbe generare, entro il 2030, 250 miliardi di dollari all’anno. Il tutto senza tenere conto delle conseguenze politiche, sociali ed economiche che subiranno le popolazioni i cui territori sono parte dei progetti del mercato del carbonio e che verranno per questo depauperati delle proprie risorse. Il mercato dei crediti di carbonio mette infatti in moto meccanismi di vero e proprio neocolonialismo, in quanto si basa sulla sottrazione di terre e risorse alle comunità locali e alle popolazioni indigene per poter supportare progetti che operano all’interno di questo mercato.

In aggiunta a ciò, è stato stabilito che l’investimento delle MDB (che comprendono la Banca Mondiale, le banche di Sviluppo europea, asiatica, africana, interamericana e dell’Islam, oltre alla Banca Europea per gli Investimenti e alla Nuova Banca di Sviluppo) per finanziare le politiche sostenibili dovrebbe ammontare a un totale di 170 miliardi di dollari. Di questi, circa 120 miliardi serviranno per finanziare progetti per il clima ai Paesi a basso e medio reddito, mentre 50 miliardi sarano destinati ai Paesi ad altro reddito. Sono molto poche, tuttavia, le informazioni circa le modalità in cui verranno spesi i soldi, il che costituisce un segnale d’allarme soprattutto alla luce della poca trasparenza che contraddistingue organi come la Banca Mondiale quando si tratta di investimenti «per il clima».

[di Michele Manfrin]

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