Una nuova ricerca in via di pubblicazione su Management Science getta luce sul modo in cui gli strumenti d’intelligenza artificiale come ChatGPT stanno trasformando il Mercato del lavoro freelance e precario tipico della gig economy. Il nuovo studio, condotto da un team di esperti internazionali sotto la supervisione di Harvard, rivela un fenomeno significativo: una diminuzione del 21% nelle offerte di lavoro per professioni considerate “inclini all’automazione,” un fattore che indica che gli strumenti avanzati di IA stiano già influenzando i possibili sbocchi professionali dei lavori umani.
I ricercatori – Ozge Demirci della Harvard Business School, Jonas Hannane della Technische Universität Berlin e Xinrong Zhu della Imperial College London Business School – hanno basato la loro indagine sull’analisi di 1.386.642 inserzioni lavorative pubblicate tra luglio 2021 e luglio 2023 su una non meglio specificata “piattaforma leader a livello globale”. Queste offerte lavorative sono dunque state suddivise in tre categorie principali: lavori a forte componente manuale, lavori predisposti all’automazione e lavori legati alla produzione di immagini. Lo studio mostra che l’introduzione di ChatGPT ha portato a una riduzione significativa della domanda di freelance in alcuni settori specifici, con i ruoli di scrittura, sviluppo informatico e ingegneria in prima linea tra i più colpiti.
In particolare, le offerte di lavoro per scrittori sono diminuite del 30,37%, una flessione che indica una crescente fiducia nei modelli linguistici di IA per la produzione di contenuti scritti. A questi seguono gli sviluppatori informatici, i quali hanno registrato una contrazione delle offerte pari al 20,62%, quindi ci sono gli ingegneri con un calo delle opportunità di lavoro del 10,42%. Il settore della produzione di immagini non è stato immune agli effetti dell’automazione: l’avvento di generatori di immagini basati su intelligenza artificiale ha portato a un calo del 17% nelle offerte di lavoro per la creazione di contenuti visivi, impattando in particolare i graphic designer (18,49%) e i modellatori 3D (15,57%).
Oltre all’analisi quantitativa delle offerte di lavoro, gli accademici hanno condotto un’indagine sul volume delle ricerche online, analizzando le richieste su Google relative a “ChatGPT” in associazione ai vari mestieri presi in esame. È emerso un trend chiaro: all’aumentare delle ricerche legate all’intelligenza artificiale, diminuisce il numero delle offerte di lavoro per i ruoli associati. In pratica, il dato suggerisce tacitamente che molti committenti e datori di lavoro si sono documentati su internet per capire se fosse possibile sostituire o ridurre la loro dipendenza da personale mercenario.
Nonostante la riduzione delle offerte in alcuni ambiti, lo studio evidenzia però un altro aspetto degno di nota: a seguito del boom dell’IA, gli annunci pubblicati sembrano orientarsi verso profili con competenze più articolate, offrendo per gli incarichi compensi superiori rispetto alla media passata. Questo significa che, sebbene ci sia una contrazione nel numero di opportunità, i freelance con abilità avanzate, in particolare nel campo dell’intelligenza artificiale, sono sempre più richiesti. La capacità di sfruttare tecnologie avanzate sta diventando anzi un requisito distintivo: gli annunci che richiedono esplicitamente la competenza nell’uso di ChatGPT sono in crescita a un tasso medio di 0,68 nuovi post a settimana.
È ancora difficile prevedere come l’avvento dell’IA potrà cambiare la vita delle persone, il fenomeno è relativamente giovane e dev’essere ancora inquadrato da ricerche approfondite, tuttavia lo studio di Harvard offre uno spaccato anticipato di quali siano le attuali tendenze del Mercato del lavoro, di come le cose stiano cambiando e a quale ritmo. Certo è che i liberi imprenditori e le partite iva operanti in questi campi inclini all’automazione dovranno riflettere su come tutelarsi professionalmente e su come offrire un valore aggiunto che possa fare gola alle pretese di Mercato.
[di Walter Ferri]
Oltre a quanto sottolineato dall’articolo rispetto al mondo del lavoro, si può notare come l’aumento della disponibilità di “intelligenza artificiale” sia proporzionale della omogeneizzazione dei comportamenti delle persone (una volta la chiamavamo massificazione).
Come si evince dall’articolo le nuove tecnologie che vengono proposte come “intelligenti” sono in realtà macchine con comportamenti che sono sì complessi, ma con comportamenti prevedibili e che vanno a sostituire le persone nei ruoli che hanno già questa caratteristica.
Dobbiamo stare attenti alle etichette, di effettivamente intelligente in queste nuove proposte tecnologiche c’è soprattutto un grande marketing, che lavora a vantaggio delle aziende che le producono o che le comprano, non a vantaggio delle persone.
Propongo di evitare per quanto possibile di pensare che le macchine siano intelligenti e che le persone siano consumatori.
Ne va della nostra salute mentale e della nostra dignità umana.
Sono convinto che se siamo ben coscienti che l’intelligenza non sta nelle tecnologie, ma nelle persone che le creano o le propongono o, soprattutto, le usano, quelle stesse tecnologie smettono di esserci ostili e rimangono semplicemente utili.
Pensiamoci un attimo: le tecnologie informatiche degli ultimi 30 anni, soprattutto quelle legate alla comunicazione, a cosa sono servite? In grande parte a convincerci di quello che ci viene detto, anche quando la verità sta da un’altra parte, vedi i fenomeni mediatici relativi al covid, alla guerra in Ucraina e al genocidio da parte degli israeliani. Però il fatto che ci convinciamo non dipende dalla tecnologia, dipende dalla volontà di chi la usa.
Siamo umani, è bene ricordarcelo ora che siamo nel tempo delle macchine.