Nella notte tra sabato 16 e domenica 17 novembre, la Russia ha lanciato un massiccio attacco aereo sulle infrastrutture energetiche ucraine, infliggendo danni alla rete elettrica del Paese e causando blackout in diverse aree intorno a Kiev. Le fonti ucraine parlano di sette morti e 140 missili di vario tipo, più di 900 bombe aeree guidate e oltre 600 droni d’attacco, anche se sembra ancora difficile comprendere la reale entità dei danni. La Russia non si è espressa sui numeri forniti da Kiev, ma ha confermato l’avvenuto attacco sulle linee energetiche ucraine, annunciando di aver inflitto danni alle infrastrutture degli aeroporti militari, agli impianti di produzione di gas e di energia utilizzati per il funzionamento delle imprese di difesa ucraine, a un deposito di droni e a truppe e attrezzature militari di Kiev in più di 100 località. Mosca sembra, insomma, intensificare gli attacchi sull’Ucraina, mentre intanto si inizia a risistemare lo scacchiere della diplomazia: il cancelliere tedesco Scholz ha sentito Putin per la prima volta da dicembre del 2022, mentre Zelensky prova ad assicurarsi il supporto di Trump.
Le fonti russe sono state più parche nel fornire informazioni riguardo ai siti energetici colpiti, e si sono limitate a comunicare il numero di aree prese di mira e i mezzi utilizzati. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa governativa TASS, citando il ministro della Difesa russo, «Questa mattina le Forze Armate della Federazione Russa hanno attaccato ampiamente le strutture critiche delle infrastrutture energetiche che garantiscono il funzionamento del complesso militare e industriale dell’Ucraina e delle imprese che producono prodotti militari, con sistemi di attacco ad alta precisione», colpendo tutti gli obiettivi. Più esaustive, al contrario, le informazioni relative al campo di battaglia vero e proprio. Sempre secondo la TASS, nelle ultime 24 ore, l’Ucraina avrebbe oltre un migliaio di perso soldati, e decine di carri armati, veicoli corazzati, sistemi di artiglieria, depositi di armi ed equipaggiamento militare in tutti i fronti aperti, e la Russia avrebbe guadagnato terreno nelle regioni di Dnipro e del Donetsk.
Nel frattempo, la guerra procede anche sul versante della diplomazia. Scholz ha deciso di telefonare a Putin per la prima volta dal dicembre del 2022. Il contenuto della conversazione è noto solo in parte: Scholz ha chiesto a Putin di ritirare le proprie truppe dall’Ucraina e di aprire i canali per un dialogo, ribadendo il proprio sostegno a Kiev. La telefonata, per quanto simbolica e dal contenuto a suo modo prevedibile, potrebbe rappresentare un segnale importante per il proseguimento dei colloqui di negoziato, poiché riapre un dialogo fermo da anni. Essa, comunque, va letta in prospettiva con la recente vittoria di Trump alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, che, viste le dichiarazioni del tycoon e le richieste che l’Europa si assuma più responsabilità, potrebbe avere delle ripercussioni sullo svolgimento della guerra; Zelensky, dal canto suo, ha criticato la scelta di Scholz di chiamare Putin, sostenendo che la telefonata abbia «aperto il vaso di Pandora». Allo stesso tempo, il presidente ucraino prova a tenere aperti i canali con gli Stati Uniti, nella speranza che Trump non gli faccia mancare il sostegno che ha avuto sotto l’uscente amministrazione Biden; dopo la vittoria del tycoon Zelensky si è congratulato caldamente con Trump e ha dichiarato che, con lui al governo, la via per una pace si avvicina.
[di Dario Lucisano]