I ministri degli Esteri di Germania, Francia, Polonia, Italia, Spagna e Regno Unito si sono incontrati ieri 19 novembre a Varsavia, dove hanno concordato sulla necessità di istituire un debito comune per la Difesa, con l’obiettivo, precedentemente fissato, di raggiungere il 2% del PIL in spese militari. «È la prima volta, qui a Varsavia, che i cinque paesi più grandi dell’Unione europea si esprimono a favore degli obblighi europei in materia di difesa» ha affermato il ministro degli Esteri polacco Radosław Sikorski, ritenendo la concordanza sul tema «una svolta molto importante». Gli eurobond, dunque, sono ben visti solo per armare l’Europa contro la presunta minaccia russa, mentre per tutte le altre spese, i titoli di debito comune sono da sempre osteggiati dai cosiddetti rigoristi europei – i Paesi del nord, tra cui Germania, Olanda e Austria – che ritengono che ciò avvantaggi ingiustamente i Paesi considerati meno virtuosi finanziariamente, in particolare quelli dell’area mediterranea come Spagna, Italia, Grecia e Portogallo. Per la spesa militare, invece, questo problema non si porrebbe, in quanto – come dichiarato nel comunicato congiunto rilasciato ieri (19 novembre) – i capi della diplomazia UE ritengono un “imperativo rafforzare la Nato aumentando le spese per la sicurezza e la difesa, in linea con gli impegni assunti in precedenza”.
In realtà, la spesa del 2% del PIL risulta già obsoleta perché nell’incontro a Varsavia i ministri europei hanno ritenuto che sia necessaria una cifra addirittura superiore a quella del 2%, a causa dell’escalation con la Russia, che i Paesi europei considerano una minaccia. La riunione a Varsavia era un incontro del cosiddetto “triangolo di Weimar” (composto da Francia, Germania e Polonia), allargato anche a Italia, Spagna e Regno Unito, a cui era presente anche la prossima Alta rappresentante Ue per la politica estera Kaja Kallas, feroce falco antirusso e ex premier estone.
L’intenzione di emettere eurobond per la sicurezza va letta soprattutto in vista della diminuzione dell’impegno degli Stati Uniti nel conflitto europeo con l’imminente insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Commentando l’intenzione del presidente eletto di porre fine alla guerra, Sikorski ha dichiarato che “imporre all’Ucraina soluzioni pacifiche contrarie ai suoi interessi o prive di accettazione sociale avrebbe effetti negativi sulla stabilità del Paese”. I ministri hanno quindi evidenziato la necessità di rafforzare ulteriormente il sostegno militare, economico e finanziario all’Ucraina, e hanno ribadito che una pace duratura «può essere negoziata solo con l’Ucraina, con i partner europei, americani e del G7 al suo fianco». L’idea del debito comune per la Difesa appare quindi un modo per sopperire al possibile venire meno degli USA nell’appoggio a Kiev. Particolarmente entusiasta della proposta è stato il governo italiano, da sempre favorevole agli eurobond (non solo limitati alla Difesa), al contrario della Germania e altri “falchi” del nord, in quanto gli permetterebbe di usufruire di tassi d’interesse agevolati. «Oggi abbiamo elaborato una strategia. È la strategia di sostenere la difesa europea, di avere gli Eurobond […] Dobbiamo andare avanti», ha affermato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, seguito a stretto giro da quello della Difesa, Guido Crosetto, secondo il quale gli eurobond sono “un’idea da accogliere con favore”, perché “garantirebbero in modo europeo l’indebitamento delle nazioni” per raggiungere l’obiettivo Nato del 2% del Pil.
Gli eurobond sono strumenti finanziari che permetterebbero ai Ventisette Stati membri dell’Unione di emettere titoli di debito comune sui mercati internazionali per sostenere spese e investimenti nel settore della difesa. La proposta era già in discussione dalla scorsa estate, ma i capi Ue avevano rimandato la decisione sui finanziamenti congiunti al 2025, sotto l’egida del nuovo esecutivo comunitario, soprattutto a causa della contrarietà di Paesi quali Danimarca, Svezia, Paesi Bassi e Germania. Considerata però la scarsità di risorse europee e il probabile abbandono della causa ucraina da parte degli USA, gli Stati europei hanno ora deciso di seguire quella che è anche una raccomandazione del rapporto Draghi, in cui la sicurezza, insieme a digitalizzazione e passaggio alle rinnovabili, ha un ruolo centrale. Per rendere competitiva l’Ue, secondo l’ex presidente della BCE, occorre una cifra pari al doppio del Piano Marshall, vale a dire investimenti annuali fino a 800 miliardi di euro. Per ricavare queste risorse, Draghi invita esplicitamente a istituire un debito comune. Fino ad ora però le raccomandazioni dell’ex banchiere e ex presidente del Consiglio italiano pare siano state recepite solo per quanto riguarda il settore della difesa, un ambito su cui l’ex uomo di Goldman Sachs ha molto insistito.
Ciò mette in luce come l’UE sia governata da ben precisi interessi e come alcune nazioni abbiano maggior peso decisionale di altre: si è trovata una provvisoria intesa sugli Eurobond per la difesa, infatti, perché i falchi del Nord, tra cui Svezia, Polonia e Germania, sono anche alcuni tra i più accaniti “russofobi”. Tuttavia, non c’è la stessa unanimità per altri settori di spesa. Pare, dunque, che l’Ue abbia intrapreso la corsa al riarmo, anche in considerazione dell’imminente arrivo di Donald Trump. In seguito alle intenzioni di investire maggiormente in questo campo, nelle ultime settimane, i titoli europei del settore si sono impennati: il titolo dell’italiana Leonardo SpA è balzato del 17%, mentre il produttore tedesco di armi Rheinmetall AG è salito del 22%. Se da un lato una maggiore indipendenza dagli Stati Uniti per quanto riguarda la sicurezza rappresenta un elemento positivo, dall’altro, l’intesa sui bond europei solo per le spese militari evidenzia le storture del sistema europeo, ma anche la potenziale ulteriore perdita di sovranità delle singole nazioni del Vecchio continente.
[di Giorgia Audiello]