A poco più di un anno dal secondo insediamento al governo spagnolo del primo ministro Pedro Sánchez, i delicati equilibri che hanno caratterizzato la sessione d’investitura non sono riusciti, nel corso di quest’anno, a garantire una maggiore stabilità all’alleanza di governo. Il governo di campo largo, che vede al suo interno il Partito Socialista Obrero Español, la sinistra radicale di Sumar, i partiti indipendentisti catalani e baschi di sinistra, Euskal Herria Bildu ed Esquerra Republicana, e i partiti indipendentisti conservatori, Junts per Catalunya e il Partido Nacionalista Vasco, nel corso di questi dodici mesi in più occasioni non è riuscito a trovare un accordo, finendo per favorire il Partido Popular e Vox, principali partiti d’opposizione. Ci si chiede ancora oggi, quindi, se la coalizione di governo riuscirà a portare a termine la sua legislatura, ma la risposta non tarderà ad arrivare: per non perdere la fiducia e restare in carica, Sánchez dovrà obbligatoriamente ottenere l’approvazione dei bilanci dello stato, con una votazione attualmente prevista per le ultime settimane di gennaio.
La coperta corta degli equilibri parlamentari
Riuscire a trovare un accordo tra forze parlamentari, in alcuni casi opposte e rivali nei contesti autonomici, sembra una missione impossibile. La Ley de Amnistía è stata tra le leggi più controverse approvate durante i primi mesi di quest’anno di governo e molte analisi politiche assicurano sul fatto che questo accordo, finalizzato tra le altre cose a porre fine al pròces, il decennale conflitto tra forze indipedentiste catalane e istituzioni spagnole, abbia avuto come ulteriore fine «accontentare» Junts e così dare luogo ad un’alleanza strategica utile all’agenda politica del governo. Questa mossa, però, non si è dimostrata così lungimirante. Innanzitutto, il cambio di idea da parte di Sánchez, che negli scorsi anni negava la possibilità di vedere realizzati il referendum e l’amnistia, ha indubbiamente disturbato una parte dell’elettorato del PSOE, oltre che alcuni rappresentanti del partito, tra i quali il presidente socialista della comunità autonoma di Castiglia e la Mancia, Emiliano García Page, e l’ex presidente del governo Felipe González. A questo si è aggiunto anche la contrarietà dello stesso partito catalano Junts, che, dopo aver visto negata dal Tribunal Supremo l’applicazione dell’amnistia nei confronti del leader Carles Puigdemont, e dopo la vittoria del socialista Salvador Illa alle elezioni autonomiche catalane di maggio, ha iniziato ad attuare una politica di forte contrasto verso i piani di governo.
Ancora una volta, il presidente del governo spagnolo ha dovuto ricorrere a nuovi patti, nella speranza di ottenere un accordo con il partito catalano. A pochi giorni dal disastro della DANA, infatti, quando l’interesse mediatico era completamente focalizzato sulla grave situazione umanitaria nella Comunità Valenziana, il governo del PSOE ha siglato un accordo con Junts e il PNV, per approvare una tassa speciale per gli istituti bancari e simultaneamente escludere dall’innalzamento delle tasse al 15% (voluto dalla Comunità Europea) le compagnie energetiche private del paese.
Quest’accordo, presuntamente raggiunto senza l’approvazione del principale socio di governo Sumar, non solo sposta drasticamente a destra l’equilibrio dell’alleanza del parlamento, ma imbriglia il PSOE in nuovi accordi, questa volta con i partiti di sinistra, ERC, Bildu e Podemos. Proprio quest’ultimo, attraverso le parole del portavoce, Javier Sánchez Serna, ha già dichiarato che, se non si otterrà una diminuzione del 40% sui canoni d’affitto e se lo stato spagnolo «non interromperà immediatamente ogni relazione commerciale e diplomatica con Israele», si schiererà contro l’approvazione dei bilanci generali dello stato. Podemos, che dopo la rottura con Sumar e l’esclusione dal governo, è passato al gruppo misto, risulta essere una chiave di volta negli equilibri del parlamento. In caso di voto contrario, il PSOE avrà bisogno di tutti i voti favorevoli dei soci di governo, senza la possibilità di astensione.
Quando un socio di governo può venire meno: la precaria situazione di Sumar
Il partito plurinazionale Sumar, nato ufficialmente a un mese dalle elezioni del 2023, dopo l’iniziale accorpamento di Podemos, sembra già essere ad un inesorabile bivio. La formazione «alla sinistra del PSOE», dopo il tiepido successo alla tornata elettorale dello scorso anno, nel corso dei mesi è precipitata in un baratro dal quale fa fatica a riemergere. Dopo la débacle delle elezioni europee (4,66% di voti e tre eurodeputati), la stessa Yolanda Díaz, vicepresidente del governo, ministra del lavoro e fondatrice della coalizione, ha scelto di lasciare la direzione del partito, decapitando una formazione fortemente legata alla sua figura. Se inizialmente Sumar aveva come fine ultimo veicolare i voti delle persone lontane alla politica del Partito Socialista, offrendo un’alternativa al bipartitismo storico e soprattutto una linea vicina alle battaglie progressiste, quali i diritti della classe lavoratrice, i diritti della comunità LGBT, il rispetto delle diversità culturali nel paese e il femminismo, proprio su quest’ultimo tema il partito ha subito l’ultimo grave fiasco mediatico e ideologico.
Il 24 ottobre del 2024, Íñigo Errejón, cofondatore dei partiti Podemos (dal quale uscirà nel 2019), Más Madrid, Más País e Sumar, ha annunciato, attraverso un comunicato pubblicato sul suo profilo X, il suo abbandono alla vita politica. «Sono giunto al limite tra il personaggio e la persona» scriveva l’ex portavoce di Sumar, «tra una forma di vita neoliberale e l’essere portavoce di una formazione che difende un mondo nuovo, più giusto e umano». Aggiungeva, inoltre, di aver iniziato un percorso di terapia, dovuto a una pressione psicologica che avrebbe generato una «soggettività tossica, moltiplicata, nel caso degli uomini, dal patriarcato». Errejón, che si è sempre dimostrato non solo vicino, ma particolarmente attivo nella causa femminista, attraverso questo comunicato ha lasciato la politica soffermandosi sulle difficoltà nella gestione della pressione mediatica, cercando per un’ultima volta di menzionare ambiguamente le tematiche che hanno contraddistinto la sua carriera politica. In realtà, pochi giorni prima la giornalista Cristina Fallarás, ha pubblicato alcune denunce anonime di atteggiamenti vessatori e di molestie sessuali da parte di un «politico molto noto di Madrid». A poche ore dal comunicato pubblicato su X, il nome del politico è venuto fuori: Íñigo Errejón.
Il tam tam mediatico investe così Sumar, che rapidamente espelle Errejón dal partito e, dopo pochi giorni, presenzia davanti alla stampa con una conferenza poco incisiva, durante la quale viene più volte dichiarato che «i sistemi di prevenzione non hanno funzionato». Il contraccolpo è stato distruttivo. Nel corso dei giorni vengono formalizzate due denunce per violenza sessuale nei confronti dell’ex portavoce e la deputata del parlamento madrileno Loreto Arenillas viene espulsa dal partito Más Madrid, accusata di aver coperto le molestie di Errejón durante una manifestazione femminista e aver spinto la vittima a cancellare la denuncia fatta all’epoca dei fatti sul social Twitter. In attesa della chiamata a giudizio di Errejón, il partito sta attraversando una fase di profonda riorganizzazione, tanto politica, quanto ideologica.
I problemi all’interno del PSOE, tra le denunce di corruzione e la gestione della DANA
In questo delicato equilibrio di governo, i problemi non vengono esclusivamente dai partiti vicini. Durante questo primo anno di legislatura, il Partito Socialista, e in alcuni casi lo stesso presidente Pedro Sánchez, si è dovuto difendere da varie accuse di corruzione, che, anche in questo caso, hanno portato all’espulsione di figure principali dal partito.
Nel 2022 il portavoce all’Assemblea di Madrid del Partido Popular Alfonso Serrano presentò una denuncia alla Fiscalía General del Estado su alcune presunte irregolarità nei contratti di emergenza siglati durante la pandemia da Covid-19 dall’Amministrazione generale dello Stato e un’azienda di proprietà di Koldo García, assessore dell’ex Ministro dei Trasporti José Luís Ábalos.
Koldo García viene così arrestato il 20 febbraio del 2024, con l’accusa di riscossione di commissioni illecite nell’acquisto di mascherine. Ábalos, nonostante non fosse ancora imputato, viene così espulso dal partito socialista, per entrare a far parte del gruppo misto del Congresso dei deputati. Il 7 novembre, il Tribunal Supremo del paese ha aperto una causa contro l’ex ministro per presunta subornazione, malversazione, traffico di influenze e organizzazione criminale.
Simultaneamente, il presidente Sánchez si trova obbligato a gestire le accuse di traffico di influenze e corruzione privata mosse a sua moglie Begoña Gómez. Il 24 aprile, dopo una denuncia depositata dal sindacato di estrema destra Manos Limpias sulla base di accuse non certificate riscontrate su alcuni giornali, il giudice Juan Carlos Peinado ha aperto una commissione di investigazione nei confronti di Begoña Gómez, per aver influito sul finanziamento con fondi pubblici pari a 15,6 milioni di euro verso l’azienda Innova NEXT e la scuola finanziaria The Valley, entrambe di proprietà di Juán Carlos Barrabés. Tra le accuse, l’Università Complutense di Madrid denuncia la possibilità di appropriazione indebita da parte della Gómez, ex cattedratica dell’ateneo, di un software finanziato dall’università e della conseguente rivendita dello stesso a terzi. Il giudice Peinado ha così citato a giudizio anche il presidente Sánchez con il fine di ottenere le sue dichiarazioni come testimone; sia il presidente, che Begoña Gómez, si sono avvalsi della possibilità di non rispondere.
Le gravi alluvioni che hanno colpito la Comunità Valenziana il 29 ottobre e che hanno causato più di duecento vittime, hanno messo evidentemente a dura prova il governo. Nonostante le responsabilità non cadano direttamente su Pedro Sánchez, ma sul presidente valenziano Carlos Mazón, la scarsa tempestività e la scelta di non attuare il piano d’emergenza nazionale hanno messo in evidenza quanto il piano d’azione del governo si sia mosso più su un livello politico che su un livello etico. Immediate sono state le proteste dei partiti d’opposizione, che, sfruttando il momento, hanno iniziato ad accusare il governo di inadempienza, spesso alimentando le fake news diffuse da media conservatori.
Nonostante tutto, un ultimo sondaggio del Centro de Investigación Sociologica (CIS) ha mostrato come il PSOE attualmente abbia guadagnato due punti percentuali (34%), a discapito del Partido Popular (29%) sull’elettorato del paese. Pedro Sánchez, a pochi mesi dalla votazione parlamentare sui bilanci dello stato e con una situazione di forte precarietà negli equilibri delle forze politiche, sembra ancora una volta capace di gestire le oscillazioni della politica spagnola. Osservando le coalizioni di governo nel resto d’Europa, la Spagna appare ancora, perlomeno sulla carta, un’oasi dove la sinistra sembra ancora capace di dire la propria. Resta da capire, però, quanto potrà durare.
[di Armando Negro]
In Italia Íñigo Errejón sarebbe divenuto sottosegretario alle politiche sociali.