sabato 23 Novembre 2024

Alla COP29 l’accordo tra Nord e Sud del mondo sembra ancora lontano

A causa del profondo scollamento in atto tra le istanze dei Paesi che partecipano alla COP29 di Baku, le serrate negoziazioni della Conferenza sul Clima si sono protratte oltre il termine ufficiale della conferenza. Da un lato, i Paesi del Sud globale insistono per un finanziamento climatico pari ad almeno 1.300 miliardi di dollari annui. Dall’altro, i paesi ricchi propongono un obiettivo più contenuto, allineato ai 250 miliardi di dollari annui e formulato come un’estensione degli attuali impegni previsti dall’Accordo di Parigi. In queste ore si lavora a una via di compromesso che possa accontentare entrambe le parti, ma una soluzione definitiva appare ancora lontana dall’essere formalizzata.

I colloqui della COP29 hanno messo in evidenza le dirimenti divisioni tra i governi ricchi, limitati da bilanci interni ristretti, e i Paesi in via di sviluppo, colpiti dai costi crescenti dovuti a tempeste, inondazioni e siccità causati dal cambiamento climatico. Dopo due settimane di aspro confronto, la conferenza – per mano del presidente Mukhtar Babayev – ha partorito una proposta di compromesso che presenta due distinti obiettivi: uno di 250 miliardi di dollari annui, vincolante e sostenuto principalmente dai paesi sviluppati, e uno più ambizioso di 1.300 miliardi di dollari annui, non obbligatorio e aperto al contributo di tutti, compresi attori privati. Il Gruppo dei Paesi africani e l’Alleanza dei piccoli stati insulari (AOSIS) ha respinto il compromesso, definendolo inadeguato. «L’obiettivo di 250 miliardi di dollari è insufficiente per far fronte agli impatti climatici catastrofici», ha dichiarato Ali Mohamed, rappresentante del Kenya. Anche gli esperti indipendenti dell’ONU hanno criticato la proposta, evidenziando che il fabbisogno reale dovrebbe essere di almeno 300 miliardi di dollari annui entro il 2030 e 390 miliardi entro il 2035. Il sostegno a questa linea è arrivato anche da 335 ONG, che in una lettera hanno esortato i rappresentanti del Sud globale a lasciare la conferenza se i paesi sviluppati non aumenteranno significativamente i loro impegni finanziari. Secondo quanto è trapelato da ambienti diplomatici, ha riferito l’agenzia di stampa Reuters, questa mattina i Paesi sviluppati potrebbero aumentare la loro offerta fino a 300 miliardi all’anno. Ma il tempo disponibile è poco: molte delegazioni sono intenzionate a lasciare l’Azerbaigian entro domani e qualsiasi decisione alla COP29 deve essere adottata col consenso di tutti i paesi partecipanti. Un elemento di rottura dell’accordo in discussione è rappresentato dalla partecipazione di tutti i Paesi, compresi quelli emergenti, ai finanziamenti per il clima, sebbene con un contributo proporzionato alle rispettive capacità. Il testo introduce il principio per cui anche i Paesi in via di sviluppo, come Cina (seconda economia mondiale) e Arabia Saudita, sono chiamati a contribuire, pur mantenendo il loro status di beneficiari. Un approccio che ha incontrato forti resistenze, in particolare da Pechino, che teme di aprire la strada a obblighi formali nelle future conferenze.

L’accordo in discussione evidenzia l’importanza di rimuovere ostacoli come costi elevati, lunghe procedure burocratiche e condizioni eccessive che complicano l’accesso ai finanziamenti da parte dei paesi più vulnerabili. Tuttavia, le discussioni si sono concentrate quasi esclusivamente sui meccanismi finanziari, trascurando altri temi urgenti come il calendario per l’uscita dai combustibili fossili, la tutela della biodiversità e la lotta alla deforestazione. D’altronde, la COP29 non era partita con i migliori auspici. Numerosi tra i partner che partecipano all’evento sono coinvolti nel settore dell’energia fossile: così come per gli Emirati Arabi Uniti lo scorso anno, l’Azerbaijan appare poco credibile come Paese ospitante dell’iniziativa sul clima. La sua economia dipende infatti in gran parte dall’estrazione di combustibile fossile, mentre la cultura politica, autoritaria e resistente all’esame critico, risulta in contrasto con i principi di trasparenza e inclusione su cui si fonda il sistema delle Nazioni Unite. Peraltro, buona parte delle aziende e degli sponsor collegati all’evento sono in mano a membri della famiglia del presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev. Il quale è arrivato a definire petrolio e gas un «dono di Dio».

[di Stefano Baudino]

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