A partire dalle 4 del mattino ora locale (le 3 del mattino ora italiana) del 27 novembre è entrato in vigore il cessate il fuoco tra Israele ed Hezbollah. L’accordo mira a porre fine alla presenza armata di Hezbollah lungo il confine a sud del fiume Litani e al ritiro delle truppe israeliane dal sud del Libano entro 60 giorni. Tuttavia, come spiegato dal primo ministro Netanyahyu nel suo discorso di ieri sera ai media, la tenuta dell’accordo dipende dalle azioni di Hezbollah. Qualsiasi iniziativa intrapresa dal gruppo – dall’acquisto di armi alla ricostruzione di infrastrutture lungo il confine – che possa essere interpretata come una minaccia da parte di Israele fornirà a Tel Aviv il pretesto per nuove azioni militari. Il tutto, con il pieno appoggio statunitense. Hezbollah, che ha preso parte ai colloqui attraverso la mediazione dello speaker del Parlamento libanese Nabih Berri e non in forma diretta, non ha ancora commentato formalmente l’annuncio.
Nel suo discorso ai media, Netanyahu ha spiegato che la durata del cessate il fuoco (il cui testo non è ancora stato reso pubblico) «dipende da ciò che accadrà in Libano». Con il pieno appoggio degli USA, infatti, Israele mantiene «la piena libertà di azione militare». «Se Hezbollah violerà l’accordo e cercherà di armarsi» o «se cercherà di ricostruire infrastrutture terroristiche vicino al confine, attaccheremo». Su questo punto Netanyahu ha voluto essere molto chiaro: il cessate il fuoco non significa la fine degli attacchi. «Hezbollah violerà l’accordo non solo se ci sparerà addosso», ma anche «se si procurerà armi per sparare contro di noi in futuro». Qualsiasi iniziativa faccia sentire Israele minacciato, insomma, prevede una risposta armata. L’accordo, ha spiegato Netanyahu, permette a Israele di concentrarsi meglio sulla «minaccia iraniana», oltre che di «separare i fronti e isolare Hamas». Senza la minaccia di Hezbollah, infatti, Israele potrà ora «aumentare la pressione di Hamas» (e quindi sulla Striscia di Gaza).
Al momento, Israele ha due mesi di tempo per ritirare le proprie truppe dal Libano meridionale. L’esercito libanese ha riferito questa mattina di starsi preparando a completare il dispiegamento delle proprie forze nel sud del Paese, «per attuare le sue missioni in coordinamento con la Forza ad interim delle Nazioni Unite in Libano – UNIFIL nell’ambito della Risoluzione 1701». Ha anche chiesto ai cittadini di attendere prima di fare ritorno a casa, in attesa del ritiro delle forze israeliane, oltre a prestare attenzione a ordigni inesplosi e «oggetti sospetti lasciati dal nemico israeliano». Dopo l’annuncio, tuttavia, i civili hanno cominciato a tornare verso le proprie case.
In una dichiarazione congiunta rilasciata dal presidente statunitense Joe Biden e da quello francese Emmanuel Macron, i leader promettono di impegnarsi a lavorare per l’attuazione dell’accordo, guidando «gli sforzi internazionali per il rafforzamento delle Forze Armate Libanesi e per lo sviluppo economico in tutto il Libano, al fine di promuovere la stabilità e la prosperità nella regione». Biden ha anche dichiarato che l’accordo è stato «progettato per portare a una cessazione permanente delle ostilità».
Gli attacchi di Hezbollah contro Israele sono iniziati all’indomani dell’aggressione israeliana a Gaza, iniziata il 7 ottobre 2023. Questi sono proseguiti fino a che, nell’ottobre di quest’anno, Israele non ha invaso il Paese. Dall’8 ottobre 2023, sono stati uccisi almeno 3.754 libanesi, mentre oltre 15 mila sono stati feriti. I bombardamenti israeliani su Beirut e sul Libano meridionale sono proseguiti durante l’intera discussione dell’accordo, compresa la giornata di ieri, e non sono cessati durante l’annuncio di accettazione del cessate il fuoco di Netanyahu. Tra lunedì e martedì, una quarantina di persone sono state uccise nel corso dei raid contro la capitale e altrettante ferite.
[di Valeria Casolaro]