Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha accolto i ricorsi presentati contro il progetto di trivellazione denominato Teodorico, promosso dalla società Po Valley Operations per lo sfruttamento di un giacimento di gas al largo del Delta del Po. Avendo rilevato carenze nelle valutazioni di impatto ambientale e il mancato coinvolgimento delle amministrazioni locali, i giudici hanno annullato l’autorizzazione rilasciata nel 2021 dal ministero dell’Ambiente di concerto con il ministero della Cultura, che aveva concluso un iter iniziato quattro anni prima per l’ottenimento della pronuncia di compatibilità ambientale del progetto. A cantare vittoria sono enti locali e associazioni ambientaliste che si erano schierate contro il progetto, ribadendo quanto sia prioritario tutelare gli equilibri geologici e ambientali dell’Alto Adriatico.
Tra i promotori dei ricorsi ci sono il Parco Regionale Veneto del Delta del Po, la Provincia di Rovigo, nove Comuni del Polesine e associazioni come Legambiente, Greenpeace, WWF e Lipu, supportati dalle Regioni Veneto ed Emilia Romagna. «Va accolto il motivo del ricorso con cui è stata lamentata la violazione della direttiva Ue “Habitat”, nonché l’eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione», ha scritto il TAR, che ha annullato l’autorizzazione rilasciata nel 2021 dai ministri della Transizione Ecologica e della Cultura, ricordando che il provvedimento «ha consentito una trivellazione a meno di un chilometro dei confini di un’area del Delta del Po posta tra le 6 e le 12 miglia marine di distanza dalla costa». I giudici hanno messo nero su bianco che la richiesta di autorizzazione allo sfruttamento dei giacimenti avrebbe dovuto contemplare studi adeguati che valutassero «l’incidenza degli interventi sul sito e sulla zona speciale di conservazione», con un esame della «incidenza degli effetti diretti e indiretti dei progetti sugli Habitat e sulle specie marine» comprensiva degli elementi inerenti alla «compatibilità del progetto con le finalità conservative previste». Uno dei principali motivi di ricorso è stato il rischio di subsidenza, fenomeno già manifestatosi nella zona durante le attività estrattive degli anni ’50 e ’60, che comporta l’abbassamento del terreno a causa del prelievo di gas. Gli studi geologici indicano che ulteriori trivellazioni potrebbero aggravare questa problematica, con gravi conseguenze per un territorio unico e fragile, riconosciuto dall’UNESCO come riserva della biosfera. Di fronte a tale prospettiva, i giudici hanno riconosciuto il diritto di intervento dei Comuni della Valle Padana e, in particolare, di quelli prospicienti il mare Adriatico, affermando che «le Amministrazioni ricorrenti ben possono agire in sede giurisdizionale, affinché non siano effettuate le attività di trivellazione e di estrazione, che senza alcun dubbio possono avere conseguenze sugli equilibri anche geologici di tali territori».
L’idea del ricorso, dicono invece dall’Ente Parco, è stata una scelta «fatta per tutelare la sopravvivenza stessa di un territorio unico ma fragile, naturalmente vocato al turismo e non alle attività estrattive». La sentenza si inserisce in un dibattito più ampio sulla necessità di diversificare le fonti energetiche in Italia, accelerato dalla crisi del gas russo. Il governo Meloni aveva rilanciato l’idea delle trivellazioni per aumentare l’autonomia energetica, ma il Veneto, guidato dal presidente Luca Zaia, si era sin da subito opposto. «Il Polesine ha già dato tanto, troppo, e non può essere sacrificato per un “vantaggio” economico ed energetico praticamente inesistente», ha scritto in un comunicato la Consigliera regionale leghista Laura Cestari. «Mi auguro che questa sentenza metta la parola fine a ogni proposta o idea di trivellazioni al largo delle nostre coste, il Veneto ha già dato, trovo che sia pericoloso e sbagliato», ha dichiarato l’assessore allo sviluppo Roberto Marcato, il quale ha parlato di «un giorno di festa per il Veneto», aggiungendo di essere «pronto alle barricate se altri dovessero tornare all’attacco con altre ipotesi».
[di Stefano Baudino]
Troppe voci ambiscono alla piattaforma in Adriatico. La memoria umana è così’ breve da ignorare sia che l’inquinamento dell’Adriatico ha generato l’itticoltura devastata da metalli pesanti cancerogeni, oltre dimenticarsi del recente disastro del 20 aprile 2010 nel golfo del Messico, in seguito allo scoppio della piattaforma petrolifera BP, Deepwater Horizon, che ha distrutto ogni attività ittica oltre deturpare per millenni i fondali del mare dalla Florida a tutto il Messico.
Oltre gli incidenti dovuti all’attività industriale. vi contribuisce anche la zona altamente sismica che affligge il territorio.
Chiaro che l’ENI se ne infischia totalmente che l’umanità si ritrovi un domani con un bacino chiuso (Mar Adriatico) eternamente nero!
Questo è anche il risultato dell’ Apolitica dei governi odierni.
Pensiamo a Zelensky e ad aiutare con le armi Netanyahu, consentendo l’eccidio palestinese e dimentichiamoci della politica interna.
Fare unilateralmente pace con la Russia, come facevano persino gli staterelli feudali nel Medio Evo, proprio no?
Forse la creazione dell’UE voluta dagli USA con il Trattato di Maastricht, corroborato da quello di Barcellona, hanno ridotto i governi europei in un feudo ben peggiore del Medio Evo!