Non arrivano di certo inaspettate le dimissioni dell’ormai ex Amministratore Delegato (Ad) di Stellantis, Carlos Tavares, considerati i risultati deludenti del gruppo produttore di automobili e il crollo inarrestabile delle vendite in Italia e all’estero. Domenica primo dicembre, Tavares, che avrebbe dovuto rimanere in carica fino al 2026, si è dimesso con effetto immediato, secondo alcune indiscrezioni, con una buonuscita di 100 milioni di euro. Subito dopo l’annuncio, il titolo della multinazionale automobilistica è crollato in borsa di oltre il 10%, il peggior dato da luglio. Le dimissioni sanciscono la crisi del gruppo in Italia, dove sindacati e lavoratori sono già sul piede di guerra, mentre la politica – dai partiti di governo alle opposizioni – ha chiesto al presidente della società, John Elkann, di recarsi in Parlamento per riferire quale sarà il futuro di Stellantis nella Penisola. In questo contesto, secondo alcune stime, l’ex Ad avrebbe percepito uno stipendio di 100.000 euro al giorno, l’equivalente di 36 milioni di euro l’anno, nonostante il calo delle vendite e dei profitti della multinazionale negli Stati Uniti e in Europa.
La crisi della società con sede nei Paesi Bassi è sintomo di una crisi più ampia del settore automobilistico che ha colpito i più importanti marchi europei, a partire dalla tedesca Volkswagen, primo produttore europeo, e che sta facendo sentire i suoi effetti anche in Italia. Nel frattempo, sono partiti i primi scioperi nello stabilimento di Pomigliano D’Arco, in provincia di Napoli, contro il piano dell’ex Ad, che prevede l’esubero di 400 lavoratori.
Tra le ragioni delle dimissioni di Tavares, ci sarebbe una divergenza di vedute tra gli azionisti, il Consiglio di amministrazione (Cda) e l’Ad, come ha spiegato il consigliere indipendente senior del gruppo, Henri de Castries: «Il successo di Stellantis sin dalla sua creazione si è basato su un perfetto allineamento tra gli azionisti di riferimento, il Consiglio e il CEO. Tuttavia, nelle ultime settimane sono emerse vedute differenti che hanno portato il Consiglio e il CEO alla decisione di oggi», ha affermato. Dal canto suo, il presidente John Elkann, dopo aver espresso la sua gratitudine a Tavares, ha spiegato che «nelle ultime settimane sono emersi punti di vista diversi. In particolare, il Consiglio ha ritenuto che l’attenzione per la nostra azienda e per i nostri stakeholder dovesse essere orientata al lungo termine», sottolineando i «tempi duri» per il settore. Nella scelta non potevano non incidere i pessimi risultati del gruppo: nei primi nove mesi del 2024, la società ha visto una riduzione delle vendite negli USA del 17%, mentre, per quanto riguarda l’Europa, nel mese di ottobre si sono registrate vendite inferiori del 16,7% rispetto allo stesso mese del 2023, con una quota di mercato del 14,4% contro il 17,4% di un anno fa. Da inizio anno, le immatricolazioni sono calate del 7,1% e in Italia il gruppo ha venduto a novembre il 24,6% in meno dello stesso mese del 2023, con la quota di mercato in calo dal 29,3% al 24,7%. Lo scorso settembre, il gruppo aveva dovuto sospendere la produzione della Fiat 500 elettrica per quattro settimane a causa della scarsa domanda.
La situazione sella società preoccupa la politica italiana che, solo un mese fa, aveva già sentito in un’audizione parlamentare Tavares per chiedergli come intendesse invertire il declino industriale automobilistico in Italia. Benché l’ex Ad avesse assicurato che non sarebbero stati chiusi i siti produttivi, aveva lamentato gli alti costi energetici: «In Italia i costi sono troppo alti, quello dell’energia per esempio è il doppio che in Spagna. Dovete spiegarmi come si fa a gestire questo problema», aveva detto. Da anni ormai, Stellantis ha adottato una strategia che prevede di disinvestire dall’Italia delocalizzando all’estero nonostante gli ampi aiuti statali ricevuti dai vari governi: secondo i dati del Registro nazionale aiuti di Stato, solo da ottobre 2016 a gennaio 2024 sono stati versati, prima a FCA e poi a Stellantis, aiuti per 100 milioni di euro. «Faremo del nostro meglio per difendere l’occupazione e l’indotto. Abbiamo un tavolo con Stellantis convocato a metà dicembre, speriamo possa essere quello risolutivo» ha affermato la premier Giorgia Meloni, mentre incalzano le pressioni di tutti i partiti perché Elkann si presenti al più presto in Parlamento. Nonostante le dichiarazioni della premier, il governo Meloni ha tagliato i fondi del settore automotive cancellando 4,6 miliardi, come denunciato dall’Associazione delle imprese della filiera automotive (ANFIA).
A scagliarsi contro Stellantis non sono solo i sindacati, ma anche la stessa Confindustria: «Quello che mi dispiace è che invece di fare investimenti nel Paese vengono fatti investimenti in altri Paesi, magari scrivendo letterine a nostre imprese chiedendo di delocalizzare. Questo non lo possiamo più permettere», aveva affermato poche settimane fa il presidente degli industriali, Emanuele Orsini. L’Unione Sindacale di Base (USB), invece, ha invitato tutti i lavoratori e le lavoratrici del settore auto a aderire allo sciopero generale del 13 dicembre.
La crisi del gruppo presieduto da Elkann non è un caso isolato, ma è parte della crisi più ampia del settore in Europa: in Italia, in particolare, a novembre si è registrato un calo delle immatricolazioni pari al 10,8% rispetto allo stesso mese del 2023. Il settore è avviato a chiudere l’anno sotto la soglia raggiunta nel corso del 2023 e con un divario di oltre il 18% rispetto alla fase precedente al Covid, secondo i dati del Sole 24 Ore. Le sorti del settore in Italia pare si apprestino a seguire quelle dei marchi tedeschi, in un contesto caratterizzato dalla deindustrializzazione europea, causata dalla mancanza di politiche industriali adeguate, di sussidi statali e dagli alti costi energetici.
[di Giorgia Audiello]
Mala tempora currunt…
Game over Europa…perché non lasciamo il nostro posto ai Georgiani prezzolati?