giovedì 5 Dicembre 2024

La banana di Cattelan: follia e assurdo della società contemporanea

Nelle ultime settimane non si parla d’altro: la celebre banana di Cattelan, comprata per 6,2 milioni di dollari da Justin Sun che poi se l’è addirittura mangiata, continua a dominare la scena mediatica. Sono stati spesi fiumi di parole, i critici d’arte di mezzo mondo si sono sperticati in lunghe e complesse analisi dell’opera dell’artista padovano, mentre il popolo del web si è sbizzarrito con vignette satiriche e meme goliardici. Ma perché tanto interesse? Da cosa è scaturita tanta attenzione? 

Sarebbe molto semplicistico dire che la banana di Cattelan riflette la vacuità di questi tempi. Alcuni si domandano come si possano spendere sei milioni di dollari per una banana attaccata con del nastro adesivo al muro, mentre ci sono milioni di persone che muoiono letteralmente di fame. Altri ancora credono sia inutile ragionare su un frutto attaccato al muro, ma l’opera di Cattelan nella sua autoreferenzialità solleva delle domande ben più interessanti. Cos’è l’arte? Cosa intendiamo oggi con arte? Quali sono cioè i valori e le idee che plasmano e orientano la nostra società? L’arte di una società, infatti, non rivela soltanto una determinata concezione artistica ma rivela semmai la filosofia, le idee, i paradigmi culturali che ne sono le fondamenta. O la loro assenza.

Iniziamo con il rispondere alla domanda che in molti si sono posti: cos’ha comprato esattamente Justin Sun? La foto che immortala l’investitore cinese nell’atto di mangiare la banana ha fatto il giro del mondo. Il collezionista l’ha staccata dal muro durante una conferenza stampa a Hong Kong ed ha letteralmente mangiato «l’opera» che ha pagato 6 milioni di dollari. Un gesto volutamente provocatorio che s’iscrive in quella tendenza alla provocazione goliardica, alla parodia, alla beffa fine a sé stessa su cui Cattelan del resto ha impostato il suo discorso con Comedian.

Anche nel caso in cui Justin Sun non avesse mangiato la banana, non avrebbe potuto esporre il frutto originale, data la sua natura transitoria. Semmai ha acquistato il diritto di esporre, seguendo le indicazioni di Cattelan, un’altra banana da reinstallare con un’apposita licenza concessa dall’autore. Non è quindi la banana a valere 6 milioni di dollari, ma il nome Cattelan. Se al posto della banana avesse utilizzato una zucchina o un pomodoro, non sarebbe cambiato nulla. L’arte, da comunicazione del bello, è diventata commercializzazione di un prodotto, di un prodotto di lusso, alla portata di una ristrettissima cerchia di persona. 

L’investitore cinese Justin Sun mangia la banana di Maurizio Cattelan [frame di un video da X]
Qualcuno giustamente potrebbe obiettare: ma l’opera di Cattelan esprime un’idea? Un concetto? Ha un significato intrinseco? Qualcun altro invece si domanderà come sia possibile mettere sullo stesso piano un dipinto di Picasso, una scultura di Canova, un affresco di Giotto con una banana appiccicata al muro.

Il lavoro di Cattelan s’inserisce all’interno di quella corrente che prende il nome di arte concettuale, un’espressione coniata verso la metà degli anni 60 da Joseph Kosuth. Una delle sue opere più famose, Una e tre sedie, è un’installazione composta da una sedia da giardino, da una fotografia in bianco e nero della medesima sedia e da una seconda fotografia che raffigura una definizione della parola sedia tratta da un vocabolario. Per Kosuth «l’arte esiste solo come idea». Per i cultori dell’arte concettuale non è importante l’estetica di un’opera né la capacità della stessa di suscitare determinate emozioni ma il concetto che esprime.

In parole povere un tentativo di trasformare l’arte in filosofia, di innescare una riflessione filosofica attraverso la disposizione e la rappresentazione di oggetti bizzarri o di uso comune. Una filosofia criptica, dato che la maggior parte delle volte il significato dell’opera è nascosto ed è soggetto a diverse interpretazioni. Una filosofia spicciola, nella maggior parte dei casi. 

”Una e Tre Sedie” di Joseph Kosuth (1965)

Prendiamo la banana di Cattelan. Cos’ha voluto comunicare l’autore? Ha voluto parlarci del senso di precarietà dell’esistenza, perché la vita umana è corruttibile tanto quanto la banana destinata a marcire? Ha mosso una critica al mondo dell’arte? Ha voluto dirci che oggi l’arte suscita ilarità e derisione come quando si scivola sulla proverbiale buccia di banana? Ha voluto fare dell’ironia su sé stesso e prendere in giro i suoi spettatori perché la vita è una grande commedia? Si potrebbe andare avanti così per giorni. Le possibili interpretazioni sono infinite. L’immagine di una banana appesa al muro può voler dire tutto, ecco perché non dice nulla. Non trasmette nulla, non comunica nulla. Non soltanto non è in grado di emozionare, di trasportare, di meravigliare, ma non esprime nessun concetto perché non possiede un significato specifico. Ha mille possibili significati ecco perché di fatto non ne ha nessuno.

L’arte in ogni caso non può e non dovrebbe ridursi a puro concetto. In fondo esiste già una disciplina fatta di pure idee: la filosofia. La speculazione filosofica, il trattato filosofico, la dialettica presuppongono però la capacità di articolare un discorso e di svilupparlo. Senza scomodare le tecniche ciceroniane della costruzione di un discorso, è necessario partire da alcune premesse, sviluppare una tesi, opporle un’antitesi, giungere a delle conclusioni. Tanto il metodo scientifico logico-deduttivo tanto quello creativo richiedono un’organizzazione e una costruzione del discorso, una techne che l’arte concettuale rifiuta. Perfino la filosofia nella sua forma più criptica e aforismatica, come accade con alcuni scritti di Nietzsche e di Cioran, presuppone una grammatica interna, uno sviluppo e un’esposizione del pensiero in una frase di senso compiuto. L’arte concettuale invece veicola, o dovrebbe veicolare, idee elementari, proto particelle di idee. Ha abdicato alla volontà di raccontare storie, di farsi veicolo di emozioni che sappiano essere universali. 

Oggi l’artista vuole più che altro stupire, provocare e capitalizzare tramite fantasmagoriche aste il proprio lavoro. Ma la così detta provocazione ha ormai esaurito la sua carica eversiva. La banana di Cattelan riprende ed esaspera la provocazione della Fontana di Duchamp. Con un secolo di ritardo però. E anziché proporre nuovi modelli, elaborare nuove forme, andare alla ricerca di nuovi orizzonti, gli artisti ragionano e continuano a battere la linea della provocazione, in una sorta di manierismo contemporaneo che si è cristallizzato e sclerotizzato su se stesso e non ha più nulla da dire. E non dice realmente nulla. L’arte concettuale sembra dirci: ci sono rimaste soltanto le idee. Ma se guardiamo alla banana di Cattelan, in fondo viene spontaneo pensare che non ci sono rimaste neanche quelle. 

[di Guendalina Middei – in arte Professor X]

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