L’avanzata dei gruppi cosiddetti “ribelli” in Siria è arrivata travolgente e inaspettata. Dopo anni di stallo, il governo di Bashar al-Assad pareva inesorabilmente avviato ad essere riaccettato anche a livello diplomatico: era stato riammesso nella Lega Araba, mentre molte nazioni occidentali – tra cui l’Italia – avevano riaperto l’ambasciata a Damasco, riconoscendo di fatto la rinnovata autorità del regime sul Paese. Poi, in dieci giorni, l’impensabile: l’avanzata delle milizie capeggiate dal gruppo islamista Hayat Tahrir al Sham, affonda come una lama nel burro, conquista praticamente senza incontrare resistenza la città di Aleppo, poi prosegue e prende dopo brevi combattimenti Hama, una città che i ribelli non erano mai riusciti a conquistare negli otto anni della “guerra civile”. Per importanza si tratta rispettivamente della seconda e della quarta città della Siria, ed ora si trovano alle porte della terza, la città di Homs, che potrebbe cadere nelle prossime ore. Dovesse succedere, la strada verso la capitale Damasco sarebbe spianata. Difficile prevedere cosa potrebbe succedere, ma una cosa è certa: per ora l’esercito regolare siriano non sta praticamente combattendo; mentre le due forze che fino a ieri garantivano la difesa al presidente Assad, ovvero la Russia con l’aviazione e gli Hezbollah libanesi con la fanteria, non sembrano nella possibilità di fungere ancora da polizza salvavita per Assad.
Lo scorso 27 novembre, nelle stesse ore in cui veniva annunciato il cessate il fuoco in Libano tra Israele e la milizia filoiraniana Hezbollah, le forze antigovernative in Siria, partendo da Idlib, hanno lanciato un’offensiva inaspettata che, in pochi giorni, ha portato alla conquista di Aleppo, seconda città del Paese. Le forze antigovernative, note come “ribelli”, sono composte da diversi gruppi che si oppongono al governo di Assad e sono guidate dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS). Le radici di HTS risalgono al 2012, con la creazione di Jabhat al-Nusra, la filiale ufficiale di al-Qaeda in Siria. Il gruppo è stato formato da Abu Mohammad al-Golani, che ne è tuttora il comandante e che in passato aveva avuto legami con al-Qaeda in Iraq (AQI), precursore dello Stato Islamico (ISIS). Grazie anche al sostegno indiretto della Turchia, i “ribelli” sono stati in grado di avanzare rapidamente nel nord della Siria, conquistando il 5 dicembre la città di Hama, per poi concentrarsi su Homs, terza città del Paese. La caduta di Homs lascerebbe ai ribelli la strada spianata verso la capitale Damasco.
Se il recente evolversi degli eventi nel contesto siriano può lasciare aperti diversi scenari e interpretazioni, una cosa appare inesorabilmente evidente: la debolezza dell’esercito siriano. Le forze governative di Assad, al 7 dicembre, non sono state in grado di offrire una resistenza militare concreta per contrastare l’avanzata dei “ribelli”. La città di Hama non era mai stata conquistata, nemmeno nelle prime fasi del conflitto del decennio precedente. Inoltre, nelle ultime ore, diversi rapporti segnalano defezioni da parte dell’esercito siriano anche in zone del Paese non direttamente coinvolte dall’offensiva di Hayat Tahrir al-Sham (HTS). A sud di Damasco, le città di As-Suwayda e Dar’a sono cadute sotto il controllo delle forze di opposizione. L’esercito siriano si sarebbe inoltre ritirato dalle sue posizioni nella provincia di Deir ez-Zor, nel nord-est, lasciando il territorio sotto il controllo delle Forze Democratiche Siriane (SDF), un’alleanza di milizie curde, arabe e assiro-siriache sostenute dagli Stati Uniti.
La differenza tra la recente offensiva e le dinamiche del passato è sicuramente dovuta al mutamento del contesto internazionale, che ha coinvolto i due principali alleati del governo di Assad: la Russia e l’Iran. Negli ultimi anni, la Russia è stata principalmente impegnata nella guerra in Ucraina, che ha richiesto ingenti risorse umane e materiali. Questo ha comportato una significativa diminuzione del supporto militare alla Siria. Per contrastare la recente offensiva, Mosca si è limitata a effettuare solo pochi raid aerei, che non sono riusciti a fermare l’avanzata dei ribelli. Inoltre, al governo siriano sono venuti a mancare anche i mercenari del gruppo Wagner. La Russia possiede in Siria la sua unica base navale nel Mediterraneo, situata a Tartus, e una base aerea nei pressi di Latakia (Lodicea). Dal punto di vista strategico, una perdita della Siria rappresenterebbe un grave colpo per Mosca, ma la sua difesa potrebbe passare anche da un accordo con i “ribelli” se dal Cremlino dovessero ritenere Assad non più difendibile.
Un discorso analogo vale per l’Iran e “l’Asse della Resistenza”, che risultano impegnati su diversi fronti regionali, tra cui Libano, Yemen e Iraq, oltre che in Siria. In passato, Teheran era riuscita a fornire un ampio supporto militare al governo siriano, grazie soprattutto alle milizie libanesi di Hezbollah. Tuttavia, negli ultimi tempi, Hezbollah è stato costretto a concentrare i propri sforzi in patria a seguito dell’invasione da parte di Israele. Un ulteriore fattore che ha indebolito il governo siriano sono stati i costanti raid aerei israeliani contro depositi di armi e installazioni militari riconducibili all’Iran e ai suoi alleati in territorio siriano. Negli ultimi giorni, Tel Aviv ha bombardato anche il valico di confine di Arida, che collega la Siria al Libano. L’importanza strategica della Siria risiede nella possibilità per Teheran di utilizzare un corridoio diretto, attraverso l’Iraq, fino al Libano e al suo principale alleato regionale, Hezbollah.
A questo quadro si aggiunge il ruolo di altri attori internazionali, come la Turchia e gli Stati Uniti. La Turchia ha occupato militarmente un corridoio nel nord della Siria, giustificando l’azione con motivazioni legate alla sicurezza e alla presunta minaccia rappresentata dalle forze curde. Inoltre, il governo di Erdogan rimane il principale sostenitore dei ribelli e di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), rendendo improbabile che questa offensiva sia avvenuta senza il suo consenso. Gli Stati Uniti, dal canto loro, controllano alcuni pozzi petroliferi in Siria con il supporto delle Forze Democratiche Siriane (SDF). Inoltre, Washington mantiene una base militare strategica ad Al-Tanf, nell’est del Paese.
La caduta del governo Assad e le possibili ripercussioni
Nonostante l’importanza strategica della Siria per Russia e Iran, non è detto che questi abbiano la forza o la volontà di impegnarsi nuovamente in una guerra per conto di Assad, considerando anche la pochezza che l’esercito siriano ha mostrato finora nel montare una qualche forma di resistenza. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, il 5 dicembre ha invitato le parti in conflitto e gli attori internazionali a trovare una soluzione pacifica per la Siria attraverso il Consiglio di Sicurezza, in particolare per quanto riguarda la tutela della popolazione civile. In nemmeno due settimane da quando è iniziata la nuova offensiva si contano già oltre 250.000 sfollati. Più probabile che una soluzione possa invece arrivare dal vertice che Turchia, Iran e Russia terranno oggi a Doha, in Qatar. L’Unione Europea, non memore di quanto occorso in passato, per il momento tace. Evidentemente la sua linea in politica estera non intende seguire gli interessi della popolazione europea, ma le direttive che arrivano da oltre oceano.
[di Enrico Phelipon]
Ovviamente Assad deve sparire se il suo stesso esercito lo abbandona, già tanto se resterà vivo, purtroppo la Von del Czz ci resterà ancora.