Con 141 voti favorevoli e 81 contrari, la Camera ha votato la fiducia al decreto Ambiente 2024, convertendolo così definitivamente in legge nella serata di ieri, martedì 10 dicembre. Il provvedimento, che introduce alcune modifiche al Testo Unico sull’Ambiente del 2006, prevede, tra le varie novità, la controversa riduzione delle distanze di protezione dalle coste per le trivellazioni marine, da 12 a 9 miglia. Sbloccata, inoltre, la corsia preferenziale per le valutazioni ambientali relative a progetti di «preminente interesse strategico nazionale», tra i quali rientrano anche gli impianti di stoccaggio, cattura e trasporto di anidride carbonica. Il dl affronta anche il tema delle rinnovabili, dell’economia circolare e del dissesto idrogeologico, ma, a detta delle opposizioni, nel complesso si tratta di «un’occasione mancata».
Quello di rilanciare le trivellazioni è un tema molto caro al governo Meloni, per il quale questo costituirebbe una possibilità di aumentare l’autonomia energetica del Paese. Eppure, solamente la scorsa settimana il TAR del Lazio ha accolto il ricorso presentato dalle associazioni ambientaliste contro il progetto di trivellazione Teodorico, che prevedeva lo sfruttamento di un giacimento al largo del Delta del Po. Tra le varie criticità, i giudici hanno rilevato in particolare numerose carenze nelle Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA) – proprio quelle che il decreto legge appena approvato punta a velocizzare e semplificare – e il danno ambientale che sarebbe conseguito in caso di via libera alle trivelle. E proprio in ragione della protezione degli ecosistemi marini e costieri è stato introdotto il limite di distanza minima di 12 miglia nautiche delle trivelle dalla costa, in particolare per arginare le conseguenze di alcuni rischi delle attività estrattive, come lo sversamento in mare di petrolio. Vi è inoltre un certo rischio di subsidenza, come sottolineato anche nel caso della sentenza del TAR relativa al progetto Teodorico.
Sono numerose le novità controverse introdotte dalla legge appena approvata. Oltre alla citata semplificazione delle procedure di VIA, viene data la priorità alla realizzazione di alcune tipologie di progetti, tra i quali quelli di stoccaggio, cattura e trasporto della CO2. Il primo progetto di questo tipo in Italia ha visto la luce a Ravenna e prevede di captare almeno il 90% della CO2 prodotta dall’impianto – stimata in circa 25.000 tonnellate l’anno – e trasportarla fino alla piattaforma offshore Porto Corsini Mare Ovest, per poi depositarla in un giacimento di gas esaurito a 3.000 metri di profondità. Tuttavia, a fronte del costo incredibilmente elevato, l’effettivo impatto di tale strategia risulta ancora in discussione, oltre a non esservi certezze sulla sicurezza e la sostenibilità a lungo termine di tale strategia.
Secondo il ministro per l’Ambiente, Pichetto-Fratin, l’approvazione del decreto costituisce un «risultato importante per il Paese, nella direzione di semplificare e razionalizzare settori decisivi per la nostra economia». Per il ministro, «La corsia veloce per i progetti strategici sulle rinnovabili, ma anche gli interventi puntuali per l’operatività nel campo delle bonifiche, della risorsa idrica e dell’economia circolare, possono contribuire a nuove condizioni ambientali ed energetiche, in linea con i nostri obiettivi europei». Tuttavia, sono numerose le critiche giunte dalle opposizioni: la vicepresidente della Commissione Ambiente, Patty L’Abate (M5S), ha sottolineato come il provvedimento sia una «esaltazione dei combustibili fossili, con più margine per le ricerche, prospezioni, coltivazioni di idrocarburi nelle zone di mare», mentre Luana Zanella (Europa Verde) sostiene che in questo modo il governo «ostacola la diffusione di fonti energetiche rinnovabili» ed «esalta quelle fossili dando il via libera alle trivellazione delle coste entro addirittura le nove miglia».
[di Valeria Casolaro]