sabato 14 Dicembre 2024

Dirigere altrove la mente, tra fisica e poesia

Liberiamoci qualche minuto dal pensiero orientato, dalla focalizzazione su uno scopo, un obiettivo, una meta. Lo psicologo Howard Gardner, quarant’anni fa, in un libro complesso ma geniale, Formæ mentis, aveva teorizzato l’esistenza di una “intelligenza metaforica”, l’idea cioè di una particolare attività cognitiva: se qualcuno intende esprimere qualcosa e vuole essere chiaro, egli potrebbe riuscirci facendo slittare il discorso su un piano parallelo che richiami, ma in maniera indiretta, allusiva, fantasiosa quello che vuole dire.

Si tratta di sviluppare la capacità di percepire analogie, di notare somiglianze fra campi sensoriali differenti, di esprimere connessioni: l’isola come metafora del silenzio, la betulla fanciulla dei boschi, l’ombra metafora della protezione, il tempo come freccia…

Questo lavoro il sogno lo sa fare benissimo, spesso però lasciandoci interdetti sulla sua interpretazione, col risultato di farci dimenticare presto la situazione presentata. È come se il sogno parlasse di un mondo altro, istituisse una cosmologia straordinaria di cui facciamo fatica ad afferrare la logica, anche se qualche dettaglio, qualche passaggio ci rimane impresso con la sua forza simbolica. 

A proposito di intelligenza metaforica, qualcosa del genere avveniva ad esempio nell’antica Grecia, quando si facevano ipotesi immaginifiche, generate tuttavia dall’osservazione dei fenomeni. «Il mare sfavilla la notte quand’è solcato dai remi», afferma Anassimene (VI secolo a.C.) e questo gli permette di parlare di fulmini e arcobaleni, cioè dei fenomeni luminosi generati dallo scontro di due corpi di diversa consistenza. Ma la sua espressione è poetica, estrosa.

«La meccanica quantistica svela il profumo della rosa?»: questo il titolo di un articolo uscito qualche anno fa, dove ci si chiedeva come il cervello cosciente riesca ad elaborare, tra una molteplicità di possibili risposte, proprio quella relativa alla percezione dell’aroma di quel fiore. La nostra mente è dunque capace di selezionare precisamente e di individuare, ma rimangono sempre a disposizione una serie di stati alternativi, simili o concomitanti. 

Selezionare vuol dire non soltanto scegliere ma apprezzare comunque stati paralleli anche in parte equivalenti: è quel che succede al sommelier quando valuta gli aromi multipli che gli paiono provenire dal vino che sta assaporando e li verbalizza. Essi sono l’effetto di una serie di segnali evocativi, non soltanto oggettivi: chissà come percepiamo il sentore dei frutti rossi nel vino assieme a quello di altri agenti naturali, ad esempio certi fiori o altre essenze, senza che effettivamente vi siano contenuti?

Sì, va bene, la fisica quantistica fa un po’ come il pittore, il musicista, il poeta: si occupa di particelle microscopiche: di dettagli, di sfumature di accordi, di tonalità di tinte, di rimbalzi di suoni, di riflessi appunto, come quei remi di Anassimene, la notte. Si occupa di correlazioni che possono apportare  conferme o novità, in un quadro variegato che rende somiglianti in maniera sorprendente aspetti anche lontani delle cose.

Charles S. Peirce, il grande filosofo statunitense fondatore del pragmatismo, sosteneva che quando si pensa qualcosa in realtà si sta pensando anche a qualcos’altro e quest’altro viene chiamato l’interpretante del primo. Ogni significato che noi attribuiamo ha sempre dunque un molteplice statuto, ha la potenzialità di risultare segno di vari oggetti e valutazioni. 

Anche l’ignoto viene raggiunto attraverso stati di realtà e interpretazioni approssimative e insieme folgoranti. «Era questo, è di qui che se ne andava/ come in quest’altra notte, non so dove,/ alla tranquilla luce delle stelle;/ cominciò in questo modo la celeste/ voglia della mia anima di andare/ oltre la soglia, fino al proprio centro…» (Juan Ramón Jiménez, 1917).Tutto è cangiante, afferma il poeta Gerald Manley Hopkins: «Gloria a Dio per le cose che ha spruzzato:/ i cieli bicolori, pezzati come vacche,/ la striscia roseo-biliottata della/ trota in acqua, il tonfar delle castagne…/ per le toppe/ dei campi arati e dissodati». E ancora Edith Södergran, in Vierge moderne (1916!) :«Non sono donna. Sono neutro./ Sono un bambino, un paggio e una decisione audace,/ sono una striscia ridente di sole scarlatto…/ sono una rete per tutti i pesci voraci».

Niels Bohr, uno dei grandi artefici della fisica quantistica, scriveva in un suo articolo divulgativo fondamentale, Unità della conoscenza (1960, in I quanti e la vita, trad.it. Boringhieri) che le espressioni verbali ordinarie sembrano spesso imprecise o troppo complicate perché non si accetta che gli oggetti vengano modificati dall’osservazione e dunque che ciascuno di noi possa servirsi di espressioni inattese per comunicare il proprio pensiero. A suo parere nell’infinitamente piccolo, nei processi atomici si incontrano regolarità di nuovo tipo. Qualcosa di simile al mondo fisico accade nel linguaggio.

La poesia stessa, ad esempio, con i suoi procedimenti metaforici di scavo e di immaginazione, di introspezione e insieme di svelamento, contribuisce a questo processo di scoperta di sempre nuove relazioni. La poesia dimostra che il linguaggio esprime, produce rappresentazioni ma continua incessantemente a interpretare, intrecciando sentimenti e sensazioni.

«È una gran fortuna/ non sapere esattamente/ in che mondo si vive./ Bisognerebbe/ esistere  molto più a lungo del mondo stesso» (Wisława Szymborska).

[di Gian Paolo Caprettini]

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