Hanno rifiutato le condizioni di lavoro imposte dalla fabbrica e, dopo una settimana di presidio davanti ai cancelli, hanno vinto la loro battaglia. Si conclude con un lieto fine la lotta dei 17 operai di origine pakistana che, sabato scorso, erano entrati in sciopero contro la loro ditta produttrice di divani, la Sofalegname di Forlì, denunciando un sistema di sfruttamento che prevedeva una paga per 8 ore al giorno lavorandone però 12, per 6 giorni a settimana. Non solo: sarebbero stati anche costretti a dormire dentro la fabbrica, su materassi buttati a terra a poca distanza dalle macchine con cui lavoravano per produrre mobili. Per protestare, si erano messi a dormire negli uffici della dirigenza della Sofalegname e avevano organizzato un presidio davanti ai cancelli della ditta madre, la Gruppo 8, che subappalta i lavori, bloccando di fatto la produzione di entrambi gli stabilimenti.
Dopo una settimana di protesta è arrivato l’accordo: «Non solo abbiamo ottenuto un contratto a tempo indeterminato da 8 ore al giorno per 5 giorni – spiega a L’Indipendente Sarah Caudiero di Sudd Cobas – ma siamo andati anche oltre ciò che prevede il contratto nazionale per gli artigiani, aggiungendo buoni pasto e migliorando la retribuzione in caso di malattia». Anche il problema della sistemazione è stato momentaneamente risolto: «Gli operai sono stati trasferiti in albergo, che per un mese sarà pagato dall’azienda. Nel frattempo, hanno già cominciato a cercare una sistemazione in affitto. Non sarà un’impresa facile, considerando i prezzi e la scarsa disponibilità. Tuttavia, in questi mesi si è creata una rete tra gli operai delle due aziende, che provengono in gran parte da Prato e che si stanno già muovendo per trovare una casa per tutti».
Il sindacato Sudd Cobas è alla testa del movimento “8×5”, che chiede stipendi regolari, adeguate misure di sicurezza e il rispetto dei contratti collettivi per i lavoratori. Tutte richieste che sarebbero obbligatorie e scontate secondo il contratto nazionale di lavoro. (“8×5” sta semplicemente per otto ore lavorative al giorno per cinque giorni alla settimana). Tuttavia, nel settore tessile a Prato, così come in quello del mobile a Forlì, queste norme vengono spesso disattese per abbattere i costi di produzione e massimizzare il profitto.
«A Prato, sfruttamento e caporalato sono all’ordine del giorno. Noi siamo al fianco dei lavoratori nelle loro battaglie, ma è sempre più difficile arginare il fenomeno – conferma Caudiero – mentre a Forlì abbiamo trovato un ambiente più sensibile al problema. I giornali ne hanno parlato e quando si è mossa anche la Prefettura è stato più facile sedersi a un tavolo e trattare con l’azienda». Il caso dei 17 operai di Sofalegname non è un episodio isolato. Poche settimane fa, a pochi chilometri di distanza, è stato trovato un altro dormitorio clandestino, con 20 operai cinesi e africani sottoposti a un analogo trattamento.
«Il fenomeno è in espansione e non da poco tempo – conclude Caudiero – bisogna innanzitutto migliorare i controlli sui luoghi di lavoro, in modo da fare emergere i casi di sfruttamento e, contestualmente, portare avanti la battaglia sindacale. Qualcuno diceva: “Queste cose non si risolvono così”, mentre invece la sindacalizzazione in questi contesti può essere davvero la garanzia dell’effettiva applicazione dei contratti e delle norme sul posto di lavoro. Attraverso la sindacalizzazione, e, quando necessario, lo sciopero, si sono conquistati i diritti e le garanzie che abbiamo, i contratti nazionali, ed è sempre così che si può combattere lo sfruttamento».
[di Fulvio Zappatore]